martedì 22 luglio 2008

Firmino è un plagio!

Troppo facile osservare che Firmino è un topo e Marta è una tarma (e Topolino?), e che Marta mangia i libri perché gli piace e continua a mangiarli fino a quasi alla fine del libro, mentre Firmino comincia per fame (tredicesimo della nidiata e solo dodici capezzoli ad erogare il latte) e smette nel giro di poche pagine, e che l'occhio di una tarma non si può riflettere in una tazza di caffè, e che da lì parte la storia. Troppo facile, e banale.

Il plagio c'è. Si deve solo leggere Firmino all'incontrario e riflesso in uno specchio, cioè applicando il metodo galileiano (a proposito Lévi-Strauss ha plagiato Galileo?).

Infatti, l'odio che in Marta si trasforma in amore verso il leggilibri muta nell'amore che si trasforma in diffidenza e sospetto verso il libraio (il vendilibri).
L’introversione di Marta all'inizio della storia evolve in civilissima partecipazione grazie ad una moltitudine di buoni incontri nel Bel Paese (zitto Tozzi!), il vivere sociale in un branco di ratti involve in una solitudine sempre più gretta in Firmino, che al massimo strimpella narciso su un pianino giocattolo. La lettera finale di Marta (sempre giovane e scattante) al leggilibri si trasforma nella pagina mangiata da Firmino (vecchio in un mondo al tramonto, o forse è solo il mondo visto dagli occhi di un vecchio che sta per morire? boh, misteri dell’arte), una pagina del primo Grande Libro. Qui Savage non ha plagiato, cioè copiato, ma si è "ispirato" a Il nome della rosa.

Come nel mito i personaggi mutano e si trasformano ma il tema resta lo stesso: il cane pulcioso (l’Opera) si trasforma nello scrittore barbone con le pulci (l’Autore). Notare la sottile riflessione speculare operata dal perfido Savage: il cane devoto all’autore-editore, con guinzaglio e sberle sulla testa (mai sulle orecchie, ché un cane-opera sordo ai comandi-suggerimenti è inutile) si maschera nello scrittore barbone privo di editore-guinzaglio e autolesionista (sempre 'briaco); la vecchiaccia materialista (sesso e Nutella) in agguato in fondo alle scale (visione dall’alto) si trasforma nelle Bellezze incorporee (visione dal basso); la Libreria (luogo pubblico, con libri selezionati ad uso lettori, dal vendilibri) nella libreria in mogano (luogo privato, libri scelti da e per il leggilibri); il quartiere disfatto dalle ruspe nel mondo sotto l'atomica (locale e concreto vs. brevi cenni sull'universo); la scena del bagno con Marta che attacca il grassone nudo e merdoso (con pena e imbarazzo verso l’Autore) nella scena di Firmino (nudo) che si guarda allo specchio e prova pena e imbarazzo a mostrarsi così com’è al Lettore.

Inutile la cavillosa e togata analisi testuale effettuata dall’editore Fanucci su un libro scritto in italiano e uno tradotto in italiano; che importa sapere che anche il traduttore è colpevole di plagio? È sufficiente un colpevole per dissetare la nostra sete di giustizia.

Ininfluente la dichiarazione di Savage di non leggere l'italiano, la sua colpevolezza è gridata ai quattro venti e ai quattro formaggi: nel suo tacere all'email del critico patentato di La Repubblica e nel dichiarare (a domanda: perché un topo?) che non poteva mica scrivere su una tarma! Lì si è tradito il plagiatore massimo, ché la lingua batte dove il dente duole.

Nell'intervista a La Repubblica l'Autore di Firmino dichiara di non aver bisogno di copiare da uno sconosciuto! Peccato che l'intervistatore non si sia spinto (con le domande) un po' più là dove l'aria si abbuia appena, poiché si plagiano solo le opere di sconosciuti, mica le opere dei famosi.

Joyce non ha plagiato Omero, ma forse Omero ha plagiato... già chi?

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