domenica 17 ottobre 2010

A tavola con king congo

Chi si lagna per Cartagine in fiamme? chi s’indigna per l’assassinio di Cesare? Penso nessuno. Cesare, infatti, è dovunque sul mercato, probabilmente esiste anche una linea di spugne e saponette con il suo nome. Oggi, presentatrici e presentatori s'indignano e s'immusoniscono (e non è un bel vedere) tutto il giorno in tv per lo zio orco, embè? be', il problema è che esiste anche una maionese Orco, e ai direttori marketing dell'azienda italiana gli devono girare e non poco...
Presentatrici e presentatori tv (per tacere degli opinionisti doc) perché questa mancanza di fantasia, questa assoluta mancanza di tatto per gli amanti della buona tavola? Il mostro chiamatelo zio leopoldo o zio adolfo o zio balilla o zio gomma, tanto gli esempi non mancano nella storia recente della razza umana.
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domenica 3 ottobre 2010

Destini incrociati: il pellicano nel petrolio

A proposito di remake, cioè di copie o fotocopie o cloni. Rivedere un film dopo non dico quarant’anni, non dico vent’anni, ma appena due anni dopo (che tra parentesi è anche il titolo di un LP di Francesco Guccini) può avere due funzioni, o profili.
Una è la riunione dei nostalgici del film, più spesso di una serie televisiva, esempio classico Star Trek, che si ritrovano tutti assieme perché vorrebbero che il tempo tornasse indietro, ai mitici anni ottanta, settanta, sessanta… cinquanta… quaranta? L’altro è la riunione dei vecchi compagni della terza Z, nel corso della quale è bello rievocare il tempo perduto proprio perché si sa che non ritornerà più: nessuno pensa che si voglia tornare indietro, semplicemente si sta recitando il proprio longtemps je me suis couché de bonne heure, (qualunque cosa questo voglia dire, ma sto copiando Eco) e ciascuno assapora nei discorsi degli altri la propria madeleine inzuppata nell’infuso di tiglio.
Be', per farla breve, ieri sera ero lì che zitto zitto inzuppavo una madeleine in un infuso di rosmarino (detto anche arromaniu, gusparin, osmari, ramerino, romarin, rosmarin, rosmaren, rosmarinu, rosparein, sgulmarin, stammerino, tresmarino, trisomarino, usmaren e zipiri, infuso di 1 grammo in 100 ml di acqua, ottimo contro la tosse e il torcicollo, usato anche come colluttorio per i gargarismi due o tre volte al dì) quando m’imbatto in uno spot pubblicitario di un film italiano che è il clone di Giù al Nord di Dany Boon (Dany Boon). Uno spot di solito è come un incubo ma questo è peggio (un metaincubo?). Un direttore delle Poste Italiane "è costretto" a lasciare la Lombardia (lo vediamo che abbraccia un cartello indicatore che testimonia la fine dell'amata terra nordica per eccellenza) e trasferirsi in un paesino del caliente Sud, per lavoro… Un film encomiabile, regista autori attori caratteristi precari e maestranze locali hanno evitato di raccontare il solito Sud, fra immondizia camorra e mafia, che in tivù è diventato invece un cliché come il pellicano nel petrolio.
Un bellissimo film di arcadia e metafisica italiana (a ruota seguirà il dividi, ho già messo da parte gli euri).



Vivi e lascia vivere, però, fateci un po' caso, i dvd dei film originali sono quasi sempre fuori catalogo! E così sono arrivato al nocciolo del post (strano, avrei potuto finire lì con gli euri e invece continuo ancora un po'). Alla ricerca dell'introvabile dvd (fuori catalogo), il meraviglioso Sogni proibiti di Danny Kaye (Danny Kaye), invece il suo clone volgarotto e italico - guarda caso - c'è, ed è Sogni mostruosamente proibiti di Paolo Villaggio (Paolo Villaggio).
Scusate l'eco.
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venerdì 1 ottobre 2010

Gli anni luce

Panta rei os potamòs (dal greco πάντα ῥεῖ), tradotto come Tutto scorre come un fiume è il celebre aforisma attribuito ad Eraclito, ma in realtà mai esplicitamente formulato in ciò che dei suoi scritti conosciamo, con cui la tradizione filosofica successiva ha voluto identificare sinteticamente il pensiero di Eraclito con il tema del divenire, in contrapposizione con la filosofia dell'Essere propria di Parmenide (da Wikipedia). Sì, sempre quando mi imbatto nell'assistente tecnico Eraclito, nel prof Parmenide e nel collaboratore scolastico supplente Terzo Aristotele Escluso davanti alla macchinetta del caffè ecosostenibile, cappuccino, caffè d'orzo e tè, sempre mi sovviene nella mente vaga un film anni cinquanta, semplicemente intitolato The Blob. Contro un cielo nero di lavagna lavata con metodo e pazienza e acqua sapone ed una spazzola si profila la testa di un eroe americano, qui veste i panni di un sempliciotto ma coraggioso buon figliuolo di provincia, eppure malvisto dalla miope forza dell’ordine locale, un poliziotto reduce di guerra. Eroe cogitabondo, eroe tabagista di nascosto, fermo al semaforo verde con la sua macchinetta (non penso fosse targata 313), davanti - e per sempre come in un sogno - a uno che gli urla sputacchiando saliva: famo‘nagara (curiosamente questo è anche il nome di un pilota giapponese di formula uno ai tempi di Patrese). Comunque, non è questo il punto, il protagonista – in negativo – del film è un amorfo essere alieno precipitato dentro un meteorite, che rotta la crosta (alieno in crosta), pian piano si impegna a inghiottire tutto ciò che gli scappa urlante davanti (che sia su quattro, due e tre zampe non gli importa),in pratica è il blob, o com’è meglio noto a Pistoia il pillotto. Bene, il signor Pillotto ingoia di tutto e di più, è in continuo divenire, nel senso che diventa sempre più grosso (non grasso, grosso), eppure non scorre, piuttosto è un amorfo ammasso di rossa materia gelatinosa vivente aliena (forse comunista?). Il signor Pillotto non fa un caxxo dalla mattina alla sera, manco secernere un materiale duro (una conchiglia colorata), non si preoccupa di nulla, Essere o Non Essere un oggetto d'arredamento per Lui non è un problema, cangiarsi in uno strumento per udire le onde del mare?, figurati... Il blob non è alla base della scala evolutiva, e il suo posto nella piramide alimentare temo che sia proprio in cima, proprio sulla testa di Zachi Havash (forse cercavi Zahi Hawass, grazie Gooogle, molto obbligato). Il pillotto è più antico del panierino di scuola elementare di Mosè, del rancoroso Bruto, più antico della sbornia di Noè, probabilmente più antico anche del Rex.
Il suo magico regno è un cinema di una cittadina di periferia in una calda notte d’estate…


That pure American brother
Dull-eyed and empty-faced
esce dal cinema e si infila dentro una notte di inizio estate dell’anno millenovecentocinquantasette.
Notte che avrebbe potuto essere una delle tante notti d’estate di quell'anno perso tra gli anni luce.
Ma una locandina di un film horror e fantascienza è lì fuori dal cinema, imita (o plagia) un'altra locandina di un film passato alla storia (non nei cataloghi dei dvd), Il pianeta proibito. Film prodotto dalla M.G.M e distribuito nel 1956, lo sceneggiatore si era ispirato ad un racconto di Irving Block e Allen Adler, a sua volta libera interpretazione in chiave fantascientifica del dramma La Tempesta di William Shakespeare. Il film è ambientato nel XXIII secolo, narra la storia della missione di salvataggio dell’astronave C-57D, diretta sul pianeta Altair IV, sul quale era approdata, venti anni prima, l’astronave Bellerofonte. Il pianeta è deserto, sconfinato, sembra privo di vita o quasi, gli unici esseri umani sono il professor Morbius e sua figlia Altaira. Morbius racconta al capitano dell’astronave la tragica sorte dei componenti del Bellerofonte straziati da una misteriosa forza naturale, e di come poté salvarsi grazie alla scoperta della tecnologia dei Krell, gli antichi abitanti del pianeta misteriosamente scomparsi, milioni di anni prima, in una sola notte d’estate. La tecnologia Krell era capace di generare l’energia sufficiente ai bisogni dell’intero pianeta con il solo aiuto del pensiero amplificato da una Macchina. Sotto la superficie silenziosa del pianeta si estendeva per una profondità vertiginosa la Macchina silente e autistica, talvolta una spia si accendeva, la Macchina registrava il volo di un’ape attorno a un fiore, il lento dipanarsi delle nuvole nel cielo.
La Macchina era l’ultimo vestigio dell’antica civiltà dei Krell, delle città maestose con torri di metallo splendente non restava traccia sul suolo del pianeta, e non esistevano immagini dei Krell, si poteva fantasticare sul loro aspetto osservando la forma di una porta Krell.

Si pensi a un grande triangolo col vertice in alto ma i cui lati, prima di raggiungere la base, si pieghino anch’essi ad angolo e in maniera sghemba, verso la base stessa. Il vertice era circa a due metri da terra, e la larghezza massima del vano toccava i tre. (*)

Morbius si era sottoposto ad una Macchina del Sostegno, capace di sviluppare le facoltà intellettive nei bambini Krell tardivi, ed era riuscito ad aumentare la sua intelligenza al punto di decifrare l’antica lingua dei Krell e a costruire un robot capace di sintetizzare qualsiasi sostanza, naturale o artificiale: dalla cioccolata fondente a quella al latte, dalla Coca-Cola alla Coca-Cola decaffeinata, dai pezzi di vetro ai diamanti naturali, dal caffè d’orzo al caffè ecosostenibile. Robby, così si chiamava il robot, era dotato di una forza straordinaria ma vincolato ad una Legge ancora più straordinaria, la Legge gli proibiva di nuocere ad ogni essere umano, da Silvio Berlusconi a Terzo Aristotele Escluso, compreso.
Le petulanti insistenze del capitano dell’astronave nel convincere Morbius a tornare sulla Terra fanno inevitabilmente precipitare gli eventi, e agitare la trama della storia. Una notte un misterioso essere invisibile visita l’interno dell’astronave e compie un atto di sabotaggio. Il mattino dopo da un’impronta della creatura si ricava il calco in gesso. Il calco, che avrebbe colmato di mistica letizia il cuore del Fisiologo ma anche trafitto dolorosamente il fianco di Darwin con una spina, causa dubbi e perplessità nella mente del medico di bordo.
L’amore che avviluppa il Capitano e Altaira oltre che stizzire Morbius pare misteriosamente potenziare l’aggressività dell’informe creatura. Gli attacchi alla nave si susseguono, sempre più violenti e rabbiosi. Finalmente, dopo un ultimo attacco alla nave la creatura sceglie di colpire il bersaglio grosso, la casa di Morbius, dove si sono asserragliati, insieme al professore, il Capitano e Altaira, che si è decisa a lasciare il pianeta per seguire l’amato. Robby, l’unica difesa attiva contro la creatura, misteriosamente si rifiuta di attaccarla e si autofulmina. I tre si rifugiano nel laboratorio, difeso da porte di un impenetrabile metallo krell. Mentre la creatura è occupata a fondere il metallo krell delle porte, che tengono duro come un panetto di burro krell lasciato al sole di Altair in un pomeriggio d’estate, Morbius è incalzato e infilzato dalle domande impietose del Capitano, che ha compreso la vera natura del mostro (non più informe), grazie al sacrificio del medico di bordo che, di nascosto, curioso come una scimmia (o il gatto) o un qualsiasi scienziato degno di questo nome o ricercatore alla ricerca del nome, si era sottoposto alla Macchina del Sostegno danneggiandosi irreparabilmente il cervello, se è vero che la curiosità uccide il gatto questa volta è il medico a lasciarci lo zampino, ma non prima di svelare la verità al Capitano. Così Morbius scopre che la misteriosa creatura sterminatrice della civiltà Krell era stata generata dai loro stessi desideri inconsci e belluini, amplificati e materializzati dalla Macchina. Poveri Krell sterminati in una sola tragica notte d’estate, dalla loro natura animale repressa ed inconscia e dimenticata, come un fiore tra le pagine di un libro, nel fondo del fondo del cuore dai loro antenati selvaggi. Ma non esiste più un solo Krell su Altair, ribatte trionfante il professore al Capitano, come spiegare allora la presenza del mostro? Il Capitano scuote la testa, Morbius ancora non è in grado di affrontare tutta la terribile verità: il mostro che sterminò l’equipaggio del Bellerofonte e ora sta per penetrare nel laboratorio per farli a pezzettini è della materia dei sogni e degli incubi del professore. È il demone di Morbius alla porta.

Quella notte l'umanità di quel tempo là, lontana anni luce, fu salvata dal coraggio di un singolo eroe, dalla solidarietà di tutti (compreso il reduce) e anche dal freddo. Tutti perduti, via nel diluvio.
Oggi, noi, molto meno ingenui di quella gente di quei tempi là (prima del diluvio), siamo qui fermi al semaforo, sotto un'uggiosa pioggia d'autunno, sognando l'estate, con le gocce di pioggia che scivolano sopra gli ombrelli.

(*) W. J. Stuart, Il Pianeta Proibito, Mondadori Urania, 1977, pp. 105-106.