giovedì 30 ottobre 2008

Un'immagine in fuga

L’immagine di copertina dell’edizione integrale di Oliver Twist, edito nella collana “Biblioteca Economica Newton” (traduzione di Mario Martino), mostra un ragazzino in un frame di una corsa o rincorsa o fuga da qualcosa o da qualcuno; forse dalla miseria, dalla delinquenza di strada, da zie adottive (adottanti?) che vorrebbero rigenerarlo. Un ragazzino alla ricerca di territori abitati da indiani selvaggi e pirati e mutanti licantropi, ovvero di un semplice biglietto di sola andata per le rosse colline di Marte.

Un’immagine, come usa dire, vale diecimila parole, però queste parole prima o poi bisognerà pronunciarle, anche se alle ciance logorroiche di tizio e alle articolate riflessioni di caio sarebbe preferibile un semplice sì o no. Certo la realtà non si mostra in bianco e nero, ma in multicolor, almeno 16.777.216 colori. Ma infine si chiede solo di palesare un giudizio in merito (all’immagine). Anche perché il giudizio precede comunque le parole, tante o poche che siano. Infatti, il giudizio è già presente nella visione dell’immagine, non si scappa (dal giudizio, s’intende). C’è chi nell’immagine vede un mariuolo, chi un discolo da mettere sulla buona strada, chi vede uno zoom, un particolare di una folla in fuga dai mutanti, licantropi, ponti in fiamme sul Tamigi, terremoti, inondazioni, trombe d’aria e banche canterine.

Com’è che nella letteratura di lingua inglese c’è (quasi sempre) questa figurina di ragazzo in corsa, in fuga da qualcuno o da qualcosa? Da Charles Dickens a Mark Twain, da Bruce Springsteen a Walter Hill e Danny Boyle, ecc. Certe volte corre da solo, a piedi, in auto, in bicicletta, su un monopattino a rimorchio d'un furgoncino, sopra o sotto il treno (più raramente seduto dentro); altre volte corre in compagnia, di una ragazza, della famiglia tradizionale, allargata, ristretta; corre con la nonna e il gatto in una cesta, con l’amico, l’amica, un passante grullo per strada.

E com’è che la nostra letteratura, non tanto quella persa dietro i tartari e i grulli ma questa che pesa e pesa con il bilancino del farmacista il vissuto quotidiano di zoppine e smemorati, innamorati persi allucchettati, piccoli industriali panchinati, è sempre (quasi) ferma? Eppure si muovono queste immobili figurinette nere. Immobili in mobili scivolano lievi sotto i semafori gialli, fischiettando Yellow Submarine. Se una colpa c’è non è della letteratura o del cinema o della TV o della carta stampata e digitale e neppure di nonno Felice. E' certo, la colpa è della automobile che vive una vita autonoma e ‘sta volta ha deciso di passare col giallo; la colpa è delle macchine in genere, della tecnologia. E c’è chi mi dà conferma a questa teoria sbarazzina, il tapiro che solleva ambo le mani dal volante in un pio gesto di rassegnato fatalismo, e passa.
Le macchine sono tutte perfette e immortali, fino alla prossima rottamazione.

Ma anche nel nostro Bel Paese (accanto alle nostre banane caramellate e al nostro ossobuco di mela) esiste una minoranza di disperati che convinta che le manganellate in testa non aiutano a crescere e a maturare (e fanno pure male) liberamente sceglie la fuga.

La tramvia a Firenze: piccolo slogan con copyright

Un piccolo slogan contro la tramvia a Firenze, con copyright (che non me l'abbia a fregare Razzanelli). Si parte dalle seguenti premesse tutte vere, tutte false (come vi pare):

La tramvia è lenta, è un fatto. La velocità della tramvia è di circa 20 km/s mentre la velocità della metropolitana è di circa 45 km/s. Molto meglio la metropolitana, si arriva prima, e già che ci siamo interriamo pure il traffico veicolare lungo i viali (proposta del candidato del centro-destra alle elezioni del sindaco).

La tramvia è veloce, è un fatto. Le ruote di ferro della tramvia scorrendo rapide sulle rotaie provocano il distacco di microscopiche particelle ferrose che se respirate sono altamente pericolose per i bronchi dei non fumatori e per chi indossa lenti a contatto (fumatori e portatori di occhiali sono esenti).

La tramvia è rumorosa, è un fatto. Cercate un binario in aperta campagna e aspettate, alla distanza di un metro, il passaggio dell’InterCity e poi fatta l’esperienza pensatelo mentre corre lungo le strette vie del centro storico: una bomba.

La tramvia è silenziosa, è un fatto. Sarà così perniciosamente silenziosa che piomberà come un falco alle spalle dei poveri ciclisti (oddio chi la fa l’aspetti); cani ridotti a fette di mortadella causeranno insulti cardiaci o bestemmie ai padroni sprovvisti di guinzaglio.

Soprattutto la tramvia è un pugno nell’occhio. E’ PKG (Puro Kattivo Gusto). Alla fine la parola passa ai critici d’arte, visto che Firenze è città d’arte. Ma cos’è il Buon Gusto? Qui ci soccorre una pagina di critica d’arte che ha fatto, di fatto, scuola anche a Mondrian:

Devi liberarti per sempre dalla parola Immaginazione. Non ha niente a che fare con te. In nessun oggetto pratico od ornamentale dovrà esserci alcunché di incompatibile coi fatti. Se, di fatto, non cammini sui fiori, non ti sarà permesso di camminare sui fiori d’un tappeto; se, di fatto, non vedi mai strani uccelli e farfalle prendere dimora sulle nostre suppellettili, non ti sarà permesso di dipingerli lì; se, di fatto, non incontri mai quadrupedi che se ne vanno a spasso sui muri; non li si dovrà rappresentare su quegli stessi muri. Per tutti questi scopi dovrai invece usare combinazioni e variazioni, nei colori fondamentali, di rapporti matematici suscettibili di prova e dimostrazione. Questa è la nuova scoperta. Questi sono fatti. Questo è il Buon Gusto (1).

C’è mai stata la tramvia per le strade del centro di Firenze? No! Be’ sì, il tram, sì, ma già nel 1958 La Pira (Il Sindaco dei Fiorentini) la fece eliminare perché inutile, obsoleta e pericolosa. E anche questo è un fatto portato a difesa del No alla tramvia, ma pare che:

...fino al 1958, il tram [aveva] già "invaso" la piazza del Duomo seguendo lo stesso itinerario che oggi viene riproposto; nessun intellettuale fiorentino elevò all’epoca alcuna protesta e proprio il sindaco la Pira acconsentì a malincuore (come egli disse in un discorso al consiglio comunale di Firenze) alla dismissione della più importante ed estesa rete di tramvia urbana che ci fosse allora in Italia, a causa della necessità "di modernizzare la città, rendendola più accessibile all’uso dell’auto privata." (2)

Ma basta con le premesse e con i fatti, ecco lo slogan:

Se non cammini sui fiori non puoi veramente volere la tramvia a Firenze ©.

(1) Charles Dickens, Tempi difficili (Biblioteca Economica Newton) pag. 30.
(2) >Verso il referendum sulla tramvia di Firenze

domenica 19 ottobre 2008

Piero Calamandrei come George Orwell

Ho sempre pensato che alcuni scrittori italiani non hanno nulla da perdere nel confronto con i grandi scrittori contemporanei: Umberto Eco (il cane senza anima, straziato da una scienza bastarda, umile protagonista - con il grande assente Galileo - dell'Isola del giorno prima) con José Saramago (dal cane delle scalette di S. Crispim al cane delle lacrime, fino al cane Trovato); Flannery O'Connor con Federigo Tozzi e Bruno Cicognani; Sam Savage con Claudio Ciccarone (l'ho letto su La Repubblica); Walker Percy con ............ (va be' scrivete voi un nome al posto dei puntini). Ma che Piero Calamandrei fosse uno scrittore di fantascienza al livello di George Orwell non ci avevo mai pensato.

Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private (1).


(1) Discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III Congresso dell'Associazione a difesa della scuola nazionale (ADSN), Roma 11 febbraio 1950. Il discorso completo qui.

giovedì 16 ottobre 2008

La colmata di Firenze

Un link per chi cerca un riassunto (al 14 ottobre 2008) alla storia recente dell'urbanizzazione di Castello. Dal famoso no di Occhetto alle nuvole di cemento di Fuksas: Castello, specchio dell'urbanistica fiorentina.

martedì 14 ottobre 2008

Stadio o "funzione stadio"?

Il 1 ottobre la Giunta comunale di Firenze ha messo il semaforo sul giallo andante (Adelante Pedro, con juicio!) per il trasferimento dello stadio di calcio dal quartiere di Campo di Marte - che verrà “rigenerato” - all’area di Castello (l´area di proprietà della Fondiaria dove, secondo le previsioni urbanistiche attuali, dovrebbero sorgere un parco pubblico di 80 ettari, la nuova sede di Provincia e Regione, numerosi appartamenti e uffici). O meglio, quello che viene trasferito è la “funzione stadio” perché lo Stadio "Franchi" non può essere demolito, in quanto opera vincolata, né può essere smontato e rimontato come una costruzione Lego. Questa decisione ha subito, a monte, pochissime critiche nella maggioranza, ma una assai colorita, quella espressa ai microfoni di Controradio dall’assessore alla cultura Giovanni Gozzini:

E' un'operazione molto scorretta al limite dell'illegalità. La mia opinione molto sfumata è che i Della Valle possono arrotolare il loro progetto e ficcarselo su per le trombe del così detto (1).

Così si esprimeva l’assessore alla cultura la mattina, ma con il sopraggiungere delle ombre lunghe della sera apportatrice di refrigerio e miglior consiglio, così chiosava:

Da 21 anni parlo nella mia trasmissione a Controradio da privato cittadino di cose che non conosco e di cui non mi occupo e intendo continuare a farlo. Credo sia necessario scindere le due cose: assessore e vita privata. L'assessore Gozzini in giunta seguirà quello che dicono il sindaco e l'assessore all'Urbanistica Gianni Biagi che sono competenti e hanno seguito il progetto e in giunta voterò a favore dell'inserimento dello stadio nell'area di Castello. Sarà un voto di squadra e convinto perché Firenze ha bisogno di spostare lo stadio e la Fiorentina ha bisogno di un nuovo impianto (2).

Il giorno dopo l'assessore si era dimesso. Quindi, tutti d’accordo per il nuovo stadio, anche quelli che non erano (sono) d’accordo, tutti i presenti e anche gli assenti e gli ex (maschi, femmine e cantanti), a maggior ragione quelli che non hanno alcun dubbio, come il presidente della Provincia di Firenze, Matteo Renzi:

A viso aperto dico a tutti i cittadini che la Fiorentina è viola, non appartiene a nessun colore politico. Impegniamoci tutti affinché lo stadio si faccia. Basta con le chiacchiere, passiamo ai fatti, perché il progetto è una grande operazione per Firenze. Farò di tutto perché lo stadio si faccia senza se e senza ma (3).

A parte il fatto che simili affermazioni non si possono fare che a viso aperto (avesse detto mai un nuovo stadio, mai! devono passare sul mio cadavere, ecc.) c'è un ma. C’è un ma? Ma! Ma ne vogliamo parlare? e parliamone (tanto per la cronaca): il sindaco di Firenze, Leonardo Domenici, ci tiene a precisare che non si è mai detto favorevole al progetto dei fratelli Della Valle (4). Progetto che comprende, oltre lo stadio (la ciliegina sulla torta), centri commerciali, musei, sale espositive, negozi sottoterra, alberghi, e via andare. Una specie di Calciolandia (per non dire Disneyland, ché qualche esteta ignorante - di Topolino - si potrebbe anche offendere).
Insomma stadio (nudo e crudo) o “funzione stadio”? questo è il problema. Dove finisce lo stadio e inizia la funzione mistica del tifoso?
Come al solito nel nostro Bel Paese le sguaiate critiche, le balzane autocritiche e le stoiche dimissioni ('sta volta non respinte al mittente) facevano passare sotto silenzio gli interventi seri, come per esempio l’intervento del 22 settembre del capogruppo di Unaltracittà/Unaltromondo:

La normativa vigente è chiara: in questi casi la legge regionale 1/2005 richiede una nuova fase di adozione, con pubblicazione e possibilità di compiere osservazioni da parte dei cittadini. Né può la Giunta procedere con controdeduzioni aggiuntive […] L’occasione di compiacere i Della Valle e i tanti tifosi viola è stata colta al volo, e infatti abbiamo assistito al coro unanime di approvazione da parte di tutti i candidati a sindaco del PD [ma se lo stadio deve essere costruito allora] i costi ricadano completamente a carico dell’ACF Fiorentina [e] se Castello dovesse essere l’area scelta per il nuovo stadio, non deve essere sacrificato il grande polmone-verde lasciando a Fondiaria-Sai la costruzione del milione e 300.000 metri cubi previsti e per cui il parco era una compensazione. Se necessario, l’unica strada da percorrere è quella di ridimensionare le volumetrie previste nel piano Fondiaria (5).

Ma poi è davvero necessario un nuovo stadio?
Comunque (forse) “le controdeduzioni aggiuntive” del 1 ottobre sono state motivate dai seguenti limiti del vecchio stadio: una forma a “D” con forte limitazione nella visibilità; la presenza di un anello di atletica leggera con arretramento delle curve; non è coperto né si può coprire (in quanto vincolato); il quartiere di Campo di Marte è densamente abitato (6). Vero è che negli anni 30 tutti portavano il cappello e Campo di Marte era quasi aperta campagna, ma insomma oggi, come si suol dire, siamo nel XXI secolo!

(1) (Adnkronos) – 22 settembre 2008
(2) http://it.notizie.yahoo.com/adnkxml/20080922/tit-firenze-assessore-gozzini-progetto-n-afde0ec.html
(3) (ASCA) - Firenze, 22 settembre 2008
(4) http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/09/30/via-libera-castello-ma-solo-per-lo.html
(5) Comunicato stampa dell'intervento di O. De Zordo (Ufficio stampa, Comune Firenze)
(6) P. Ignesti Bellezza vs funzionalità nello stadio “Franchi” a Firenze, in OPERE 21 (giugno 2008).

venerdì 10 ottobre 2008

Si può considerare la superfetazione edilizia una droga?

Si definisce superfetazione edilizia quella parte aggiunta a un edificio, dopo la sua ultimazione, il cui carattere anomalo sia tale da compromettere la tipologia o da guastare l'aspetto estetico dell'edificio stesso, o anche dell'ambiente circostante.
La facciata del Duomo di Firenze si può considerare una superfetazione edilizia? Forse sì (a livello teorico, estetico).
La droga, sinonimo di sostanza psicoattiva, è una sostanza in grado di agire sui processi cerebrali e sugli stati psicologici.
Si può considerare la superfetazione edilizia una droga? Forse sì. Infatti, turisti e cittadini si sono così adattati alla facciata del Duomo che una minoranza querula di questi paventa il passaggio della tramvia ché l'effetto - della droga - sarebbe sciupato (per tacere delle terribili vibrazioni).
Certo, meglio sarebbe per la visione buttare giù la superfetazione ottocentesca e mirare la bellezza di un treno del XXI secolo che scorre sotto la facciata nuda del Duomo.
Ma non si può avere tutto.

lunedì 6 ottobre 2008

Orografia di avere (seconda puntata)

Un errore capitale, di quelli che fanno piangere (e ridere) gli insegnanti, è scrivere "a piovuto", anzi doppio errore, perché l’uso corretto sarebbe "è piovuto".
Mica vero, per esempio Cicognani ligio alla proposta del Congresso (1911) della Società Ortografica Italiana di sostituire ho, hai, ha e hanno con ò, ài, à, ànno (1) iniziava così Il figurinaio e le figurine:

Siccome io ò più capelli d’Assalonne e porto anche la barba come un cappuccino, ma non ò parrucchiere fisso odiando ogni ritorno - (e poi le botteguccie dei "coiffeurs" a quattro soldi la barba, a dieci la barba e i capelli, conservano ancora un loro fàscino per me da quando giovinetto, a San Niccolò, abbonato a una di quelle, ingannavo la impazienza dell’aspettare il mio turno a furia di partite a "dama" con un lattaio campione in quel gioco innocente come l’acqua che lui mesceva nel latte scremato e spannato) - spesso mi avviene d’aver la testa che pare un cespuglio; l’ardente roveto di Mosè avendo io gli occhi sempre accesi dal fòco che custodisco geloso perché mi divori, continuo, dentro, il cattivo. Ma non m’è permesso di portar così a giro per troppo tempo una testa roveto ardente - che volete? la gente non à simpatia per certe figurazioni bibliche e poi non ci arriva: invece è pronta a supporre la realtà più volgare e presente (mi sono spiegato abbastanza?) (2).

Certo oggi Bruno Cicognani è uno scrittore estinto, non lo pubblica più nessuno, mica è Bruno Vespa, però fa sempre colpo se beccati in fallo vi giustificate chiamando a vostra difesa Cicognani (e in fondo un accento scordato nella penna è un errore minore).
Per la pioggia prendetevi per ombrello Federigo Tozzi che scriveva sia "Oggi ha piovuto" sia "E’ piovuto in cantina anche oggi" (3). E che il cercatore di regole si allontani o taccia per sempre se non sente che "Ha piovuto in cantina anche oggi" pare una frase detta da uno che è stato tutto il giorno giù in cantina a cercar funghi.

(1) L. Serianni, Italiano (le Garzantine) pag. 32
(2) B. Cicognani, Il figurinaio e le figurine (Vallecchi, Terza Edizione 1929), pag.9.
(3) L. Serianni Prima lezione di grammatica (Laterza), pag.144.

domenica 5 ottobre 2008

Orografia di avere (prima puntata)

C’è un romanzo di Umberto Eco intitolato La misteriosa fiamma della regina Loana (2004), ma visto e letto il libro avrebbe potuto chiamarsi anche Il figurinaio e le figurine (dove il figurinaio è ovviamente l’olimpico Yambo) se non fosse che il titolo era già stato scelto ottantaquattro anni prima da Bruno Cicognani per una raccolta di storielle e raccontini. Sono bozzetti e figurine su Firenze e dintorni. I libri di Bruno Cicognani non sono più ristampati, probabilmente il suo cristianesimo è passato di moda (anche se di libri su Cristo e/o Gesù se ne stampano 1 ogni 15 giorni). Qualche copia insiste in una vita di stenti nel sottoscala di librerie non specializzate in libri scolastici, come un cisposo Harry Potter prima dell’illuminazione. In Internet si trova anche meno (ed è tutto dire!): un racconto, un articolo sull'uso di dare del Lei o del Voi, e poco altro. Ora, chi ha letto il racconto della bicicletta penserà a un Palazzeschi un po’ più abbuiato, e chi ha letto Il figurinaio e le figurine al Dickens del Circolo Pickwick (se non è già morto di vecchiaia). Ecco un esempio:

[...] Dopo un certo tempo non si fece più vedere, la signora Assunta, e non si fece più viva: il suo posto nella mia curiosità lo presero altre persone finché un giorno si seppe che era all’ospedale in Via S. Gallo, letto 112.
Mia madre corse e mi portò seco "- io non passo però -" "- m’aspetterai giù -". Arrivati all’ospedale - quel cortiletto: un chiostro in miniatura, con in mezzo la pianta che l’empie - mia madre, col suo garbino, domandò al portiere: "il letto 112?"
E un pappino in gabbanella che passava con in mano una ciotola di brodo urlò "mòrtaaa!" come avrebbe urlato "tombola!" (1).

Notate come Cicognani estrae dalla bustina del raccontino La Signora Assunta la rara, anzi unica, figurina della madre "col suo garbino" e la dozzinale figurina del pappino (comunque bene informato e tutto volenteroso); oggi nessuno scrive più così, neppure Umberto Eco che pure ha scritto un romanzo illustrato.
Solo per restare in tema con il blog osservate anche il "chiostro in miniatura con in mezzo la pianta che l’empie".
Embè? e questo che c’entra con l’ortografia del verbo avere? La risposta alla prossima puntata.

(1) B. Cicognani, Il figurinaio e le figurine (1920), Vallecchi (terza edizione, 1929), pp. 46-47.


venerdì 3 ottobre 2008

Vecchio come il cucco

Si dice di un oggetto o di un essere animato che sia vecchio come il cucco quando è di molto, ma di molto, vecchio. Il cucco funge da termine di paragone per datare un oggetto: un macinino del caffè, una macchina per cucire a manovella, ecc. Notare che questo modo di dire è usato solo in senso peggiorativo, se non dispregiativo. Infatti, non usa dire che un Commodore 64 con 48 K di Ram capace di generare il grafico a fil di ferro di una sinusoide dopo appena cinquanta minuti di calcolo è vecchio come il cucco, ma di un vecchio e obsoleto PC 486 certamente sì.
Analogo ragionamento per un essere animato: il cane incontinente dei vicini di casa, il gatto nevrastenico della zia, il famoso professore emerito e ottuagenario, di cui ora mi sfugge il nome, ecc. Notare come l’attribuzione del simpatico modo di dire ad esseri forniti di un’anima sia sempre relativo e soggettivo: i vicini, il nipote, gli assistenti giovani del barbogio, ecc.
Una domanda sorge a questo punto spontanea: ma quanto è vecchio il cucco? E’ possibile trovare su eBay un cucco usato ma in buono stato? E come riconoscere un cucco originale da una vile imitazione, solo dal prezzo esoso? O esistono parametri oggettivi, razionali, una lista tipologica del cucco. E l’esperienza sul campo aiuta? Come quella che consente, ad esempio, di distinguere un fungo porcino da un fungo che sembra commestibile, all’occhio del profano, ma non lo è. Esistono cucchi velenosi?
Per trovare una risposta a queste domande si deve, per prima cosa, sgombrare il campo da un equivoco, duro a morire e vecchio come il cucco: il cucco non è un oggetto, il cucco non è un essere animato. Il cucco è un monte, meglio era un colle, anzi era una collina situata nei dintorni della Firenze antica, nell’Oltrarno. Poco dopo la metà del XV secolo, sul pendio di quella collina, chiamata per l’appunto Montecucco, fu fatto costruire da tal Luca Pitti, pare su progetto del Brunelleschi, un palazzo che da allora in poi fu sempre conosciuto come Palazzo Pitti, nonostante i molteplici passaggi di proprietà (vi abitò anche Vittorio Emanuele II). Si potrebbe quindi affermare che il macinino del caffè è vecchio almeno quanto Palazzo Pitti. Ma si può andare ancora più indietro nel tempo. Sembra che Luca Pitti fece pesare tutta la sua autorità per ottenere i permessi necessari per l’edificazione del suo palazzo (ché non poteva vivere altrimenti). In quel tempo di Rinascimento incipiente la carenza di abitazioni popolari era già notevole, ciò nonostante Luca Pitti fece demolire le case che esistevano su Montecucco. I proprietari delle case, invitati a far fagotto delle loro 4 prugne (un altro modo di dire) e sgomberare, non ebbero né un compenso né un nuovo alloggio: prendeva campo una consuetudine, vecchia come il cucco.
Le macerie di quelle case costituiscono di fatto il terminus post quem per datare il nostro macinino del caffè e il cane dei vicini, mentre Palazzo Pitti è il terminus ante quem del cucco.