martedì 26 aprile 2011

E' arrivato l'avatar (Seco VI)

Italia. Anno 1922. L’umanità è in pratica sulla via del non ritorno, la voglia di progredire, di ricercare, di sperimentare nuove vie, insomma la fiaccola del progresso si è spenta, l'umanità ha appeso le scarpe al chiodo. Resiste qua e là qualche sparuta frangia di resistenza, disperati uomini e donne sopravvivono accanto ai topi, nelle città e nei paesi in rovina, crudelmente assottigliati per mano di servi facinorosi dei proprietari terrieri (a sud) e degli industriali (a nord); servi condotti da un brutale e spiritato già maestro di scuola elementare e ora maggiordomo di un re hobbit. Luca Marano, giovane studente universitario, è a caccia di libri di storia e politica, e li cerca proprio nel suo paese, in Molise. Ma non era facile trovare libri per studi personali. I professionisti del posto, avvocati, medici, notai, leggevano e rileggevano sempre gli stessi vecchi libri. Luca allora chiede aiuto all’intellettuale del paese, don Benedetto Ciampitti. La biblioteca di don Benedetto è ricca ma singolare, circa quattromila volumi, dal Quattrocento fino all’Ottocento. Dopo, il deserto dei Tartari, che non è il romanzo di Buzzati ma un modo di dire, per dire nulla. Legge con metodo, don Benedetto, ma il suo metodo è assai singolare, ha iniziato da ragazzo con il Quattrocento e ora che è un vecchio grillo grullo saggio è arrivato al Seicento. Ora, proprio adesso, sta leggendo i Ragguagli di Parnaso di Traiano Boccalini. Che culo! Il vecchiaccio dice: “Mio nonno fece scarsi acquisti, mio padre e io non abbiamo comprato niente. Io penso che è inutile acquistare libri quando se ne hanno migliaia da leggere. Io leggo da quarant’anni, con ordine; sono arrivato al Seicento...” (F. Jovine, Le terre del Sacramento). Ma don Benedetto è uno spirito balzano; accoglie il giovane Luca offrendogli sigarette, vino rosso e marroni arrostiti su un fornello, ma alla prima richiesta di Luca di leggere "qualche classico di storia e politica" lo caccia fuori a colpi di libri.

Oceano (da qualche parte sotto il mare). Anno 1866. Il capitano Nemo mostra con orgoglio la sua biblioteca personale al professore di scienze naturali: “…il mondo per me ebbe fine, il giorno in cui il mio Nautilus si immerse per la prima volta in mare. In quel giorno ho comperato i miei ultimi volumi, i miei ultimi opuscoli e giornali, e dopo di allora voglio credere che l’umanità non abbia più né pensato, né scritto.”

28 giorni dopo nel futuro (da qualche parte nella campagna inglese). Cavalli, cavalli liberi corrono nei prati, cavalli bianchi e neri, piccoli e adulti, galoppano nella campagna inglese, almeno loro sono normali. Una famiglia allargata (padre, figlia e due ragazzi), forse unici superstiti dal contagio con un virus che ha reso succuba di uno stato permanente di furia omicida (bombardiamo la Libia, bruciamo le stoppie, arrostiamo il vitello grasso, ecc.) il resto dell’umanità, fa pic-nic accanto ai sassi di un pittoresco rudere.


Al caffè, la ragazza dice al ragazzo: “Sai a cosa stavo pensando?”
“Che non sentirai più una musica originale. Che non leggerai mai un libro che non sia già stato scritto, e non vedrai mai un film che non sia già stato girato.”
Improvvisamente da dietro il rudere sbuca fuori un tizio alto due metri e ½ con coda prensile e pelle blu, chiede allegro: “Stavate parlando di me?”, quindi estrae dalla schiena una valigia e grida: "Donne è arrivato l'avatar (e l'ombrellaio). Aggiustiamo gli ombrelli. Ripariamo cucine a gas. Avete un ombrello rotto? Noi lo ripariamo…"
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lunedì 25 aprile 2011

Francesco 1000 per mille (Seco V)

Ok, si parte. E si arriva a pochi chilometri da Assisi dove “si erge” la Basilica di Santa Maria degli Angeli, “sorta tra il 1569 e il 1679 inglobando l'insieme delle strutture del conventino francescano costruito a ridosso della Porziuncola, toponimo che almeno dal 1045 individuava la zona ai piedi della cittadina (nota più propriamente come Cerqueto de Portiuncula, a causa della sua collocazione tra le selve). Il nome indicava anche l'antica cappella di Santa Maria degli Angeli che, come narra san Bonaventura da Bagnoregio nella Legenda major, Francesco scelse a sua dimora perché 'in quel luogo erano frequenti le visite degli spiriti celesti'. I biografi di Francesco riportano all'unanimità che questo luogo fu amato dal santo più di ogni altro, tanto che vi scelse di morire e lo raccomandò ai suoi frati come uno dei più cari alla Vergine.”


O almeno, così c'è scritto in Wikipedia, che a sua volta prende (copia, cita) da vari siti tematici.
Facendo molta attenzione, aguzzando l’udito al di là della sensibilità dei cani, oltre il livello paranormale di un panel test di assaggiatori di abbacchio pasquale, certo non sfuggirà al turista convenzionale questa conversazione sopra le righe (anche se molto danneggiata dal rumore del tempo), pure con qualche lampo di visione:





- Eccoli, Francesco!
- Sono qui.
- Eccoli!
- Abbiamo trovato poca gente, nessuno ha accettato la nostra elemosina. Dicono che siamo poveri.
- Venite. Noi partiamo e vi lasciamo in consegna il nostro orticello.
- Quanti bei regali!
- Portateli su, forza.
- Io ho 84 anni. Il prossimo aprile, 85.
- Auguri.
- Che bella la vostra cappellina.
- Dell’olio, del pane e delle noci. Sono povere cose, ve le lasciamo. Voi, però, abbiate cura della nostra cappellina… noi andiamo nel mondo a predicare.
- Non posso venire…
- Perché?
- Non posso venire col mantello!
- Hai ragione, un apostolo non ha né mantello né scarpe.
- Bravo, li diamo ai poveri?
- Sì, dalli ai poveri!
Il pianto di un uomo.
- Dio vi benedica, figlioli. Addio!… Parto da voi con la fede soltanto, ma vi lascio il mio cuore. Addio, fratello usignolo. Addio, fratello albero che ci ospitasti sotto la tua ombra. Addio terra benedetta. Addio, fratelli uccellini… Addio, Santa Maria degli Angeli.


El Pueblo de la Iglesia de Nuestra Señora la Reina de Los Angeles de Porciúncola.

Ma che scena esoterica, assolutamente indecifrabile, da un film capolavoro di tutti i tempi (e non solo quelli cinematografici): Francesco giullare di Dio.

martedì 12 aprile 2011

La bottega del robivecchi con un buco nel tetto (Seco IV)

Un tema tipico nel cinema di fantascienza è il mondo senza di noi, che guarda caso è anche il titolo di un saggio d’Alan Weisman (numero uno nelle classifiche di vendita americane per molti mesi). Un tipico saggio americano frequentato da scienziati seriosi e preoccupati, ma con la barbetta brizzolata, snelli e giovanili a più d’ottant’anni per gamba, con occhi vispi che disegnano una mezzaluna quando riflettono, che si stringono nelle spalle, e forse si torcono le mani, in pratica il buon Veronesi. Be’, in quel saggio c’è scritto che per distruggere un fienile è sufficiente fare un buco di un centinaio di centimetri quadrati nel tetto del fienile, e poi stare a guardare (se a bocca aperta non è scritto) e lasciare fare alla natura. Il giorno dopo la scomparsa dell’uomo la natura già prenderà il sopravvento (e senza incentivi): un esile filo d’erba lasciato a se stesso si trasformerà, piano piano, anno dopo anno, in un possente albero che sbriciolerà il marciapiede.

E ancora una volta ci si ritrova in questa Los Angeles post-qualcosa-di-terrificante, nel caso particolare post terremoto del 1998. L’anno però è il 2013, e un certo Kurt Russell percorre la notte e le strade sbriciolate della città in rovina, alla ricerca della figlia del presidente. Stanco si siede al confine della notte e di Beverly Hills, volta le spalle ad un negozio di robivecchi, a qualcuno che vende mappe per le stelle.


Sono passati 42 anni, ma il negozio non è affatto cambiato, come le mummie della cripta dei cappuccini che guardate... gli manca solo la parola (o almeno questo è ciò che Alberto Angela immancabilmente osserva), così il negozio è sempre quello, indimenticabile, di Sanford & Son.


Certo, il terremoto del 1998 deve avere aperto almeno un buco nel tetto, tuttavia è un miracolo, un miracolo a Los Angeles, che sia rimasto in piedi e aperto (anche di notte).

martedì 5 aprile 2011

The Omega Fish (Seco III)

Scrivevo ieri di un classico Warner Bros, The Omega Man (1971), in italiano il mitico Occhi bianchi sul pianeta Terra, straordinaria trasposizione filmica del romanzo di Richard Matheson, Io sono leggenda. Nel film la parte dello scienziato matto Robert Neville alla ricerca di un vaccino miracoloso appartiene di diritto a Charlton Heston. E scrivevo sempre ieri del disgraziato che vagava solitario, ma più o meno sereno, in una magica Los Angeles deserta e assolata e poi monologava, a casa la sera, con un busto ortopedico di Cesare, avversario sconfitto di mille partite a scacchi (ne avrà vinta almeno una?), mentre nello spazio cucina bollivano un paio di salsicciotti. Nessun cane dallo sguardo malinconico a tener compagnia all’eroe della città solitaria, in ogni modo non un cane lupo né tantomeno il cane triste dal pelo rosso in posa nel quadro di Piero di Cosimo, morte di Procri, visto il carattere del personaggio forse ci stava un boxer scodinzolante. Quando inizia la storia, raccontata nel film, lo scienziato matto si è stancato di passare il tempo in laboratorio testando vaccini su giustamente ribelli (a farsi testare) uomini in nero con gli occhi bianchi, preferisce passare al setaccio i quartieri alla ricerca del covo della banda. E proprio durante un pattugliamento in un cestino, collocato dietro il bancone della reception di di un albergo a quattro stelle, nota una scatoletta aperta di sgombri. Una mitica scatoletta di sgombri con la chiavetta incorporata nel cestino dietro il bancone della reception di un albergo a quattro stelle stona come le parole dell'Art. 10 della Costituzione in bocca al Bossi (però quello si riprende con l'Art. 11). Eppure Neville vuole fare la prova del nove (Neville rimane uno scienziato), perché il contenuto della scatoletta potrebbe essere stato l’ultimo pasto clandestino di un addetto alla reception oltre due anni prima. E la tira su, e l’olio cola dalla scatoletta nel cestino… Il contenuto, ricco d’omega 3, è stato consumato da poco, da un mutante nerovestito con la mente piena di manie medioevali, ma si sa la teoria è una cosa la pratica è un’altra. E tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Ora, se esiste un legame esoterico che lega Neville, l’ultimo uomo sulla Terra, omega man, ad una scatoletta vuota di sgombri naturalmente ricchi d’omega 3, io non lo so.

lunedì 4 aprile 2011

The Omega Man (Seco II)

(Seco sta per Scene esoteriche nel cinema occidentale, e II per secondo post della serie).

E così siamo già al secondo post di quello che potrebbe sembrare il tema di una tesina universitaria in Storia del Cinema, e invece è il filo conduttore di una serie di post dedicati all’elencazione di scene esoteriche nel cinema occidentale, elencazione piuttosto che svelamento delle stesse, perché essendo appunto esoteriche mi restano di significato oscuro. Be’, c’è qualcosa in queste scene che ho iniziato a prendere in esame, un deposito di conoscenza dedicato non al grosso pubblico ma ad un pubblico di élite…

"Con il termine élite si designa un ristretto sottogruppo di un sovraordinato gruppo o categoria sociale, a tale sottogruppo viene attribuita una specifica o generica superiorità rispetto alla restante parte del corpo sociale di riferimento; il consenso a tale attribuzione può essere più o meno generale e, al limite, circoscritto agli stessi membri della élite. Benché il termine sia intrinsecamente elogiativo, quando è adoperato da coloro che non ne condividono l'attribuzione assume un connotato dispregiativo (es: le auto-nominate élite).” (da Wikipedia)

Oggi tocca ad un classico Warner Bros, The Omega Man (1971), in italiano il mitico Occhi bianchi sul pianeta Terra, straordinaria trasposizione filmica del romanzo di Richard Matheson, Io sono leggenda, niente di che con il comunque bello Io sono leggenda, con uno schizzato Will Smith e uno struggente cane lupo (film ambientato nel futuro, a New York). Nel film WB la parte dello scienziato matto alla ricerca di un vaccino miracoloso appartiene a Charlton Heston. Nessun cane a fargli da spalla (a Heston erano bastate e avanzate le scimmie del Pianeta delle Scimmie). Il disgraziato - che vaga solitario ma più o meno sereno in una magica Los Angeles deserta e assolata - monologa la sera con un busto di Cesare, avversario invalido in una partita a scacchi, mentre in cucina bollono allegramente un paio di salsicciotti. L’eroe è, come nel romanzo, una leggenda da raccontare la sera al fuoco alimentato dai libri della biblioteca di quartiere ai bambini dei mutanti. Nessun disegno divino assistito al computer e nessuna umanità militarizzata e asserragliata dietro un vallo di Adriano, in una sorta di campo di concentramento, in attesa del vaccino liberatore, ma solo una piccola comunità di ragazzi/e e bambini/e in campagna. Erano altri tempi, oggi sembrano il futuro e questo tempo presente un passato remoto. Be’, continuo domani…

domenica 3 aprile 2011

Scene esoteriche nel cinema occidentale (I)

Potrebbe sembrare il tema di una tesina universitaria in Storia del Cinema, e invece è il titolo di una serie di post dedicati all’elencazione di scene esoteriche nel cinema occidentale, elencazione piuttosto che svelamento delle stesse, perché essendo appunto esoteriche mi restano di significato oscuro. Ma prima di partire con la prima scena, qualche parola sul termine esoterismo, copiata pari pari da Wikipedia (e qui le analogie con una tesina universitaria e/o da esame di maturità si infittiscono come un “umido velo di tenebre”). Esoterismo “deriva dal greco esoterikos (interno, dentro) e storicamente si riferisce ai sacri misteri presenti in tutti i paganesimi e nel cattolicesimo. In Grecia esistevano i misteri eleusini, orfici e dionisiaci. Nell'impero romano si diffusero pure quelli di Mitra e Iside. […] Nel linguaggio filosofico, il termine ‘esoterico’ caratterizza l'insegnamento riservato dagli antichi filosofi greci, specialmente da Pitagora e Aristotele ai soli discepoli, in contrapposizione ad exoterico, con il significato di ‘esterno’, destinato cioè ai profani, ovvero a quanti non erano iniziati alla comprensione del linguaggio degli adepti. Exoteriche erano definite le lezioni della scuola peripatetica di più facile ascolto, da cui l'attributo passò poi alle opere aristoteliche destinate al grosso pubblico.” (Wikipedia) Dunque, c’è qualcosa in queste scene che prenderò in esame, come un deposito di conoscenza dedicato e destinato non al grosso grasso pubblico (non necessariamente greco), cioè per chiarire lo spettatore con il barattolone di pop-corn in grembo che pastura e rumina per tutti i tempi del film, ma al pubblico minuto magro scaltro e indagatore, quello che mordicchia nevroticamente semi di zucca con gli incisivi. Si parte con un classico Disney, F.B.I. Operazione gatto (1965). La prima inquadratura è dedicata alla casa del protagonista del film (un gatto siamese); è una tipica casa con le pareti di legno e il giardino tutto attorno. Sembra una scena di un cartone animato e la casa potrebbe essere quella di Paperino, ma improvvisamente da un flatter esce il gatto D.C., abbreviazione di Darn Cat, e tutto ci diventa reale concreto. Il film inizia con la passeggiata serale di D.C. lungo le strade deserte di un quartiere periferico di una cittadina americana, negli anni sessanta del secolo scorso. Sono da poco passate le ore 9 di una sera di inizio autunno o fine estate. Nel programma serale è prevista una sosta con spuntino alla ciotola di un bulldog tonto, vicino di casa, tonto ma capace di esprimersi con le consuete maniere della sua terra di origine, in inglese; dice: Traducibile con un po’ di approssimazione e tutte le cautele del caso in “föra di ball”, o anche “föra da i ball” o “föra de ball”, che comunque si pronuncia “foeura di ball”, un po’ come Pompei che in inglese si pronuncia Pom-pay. Olimpicamente indifferente al malumore provocato nel legittimo proprietario del giardino viciniore (con tanto di pedigree) il Nostro si insinua, senza chiedere permesso, da una finestra con le imposte semichiuse, in una tipica cucina americana anni 60 e afferra un osso di pollo, pollo defunto nel 1965, osso di coscia di pollo che sporge da una pila di piatti all’apparenza usati. Una pila di piatti in equilibrio precario e che sembrano disegnati da Carl Barks, l’uomo dei paperi e dei manager con l’aristocratico profilo di cinta senese. Il furto del piccolo extracomunitario nero causa il crollo della pila di piatti (simbolo della fine del consumismo occidentale?). Notate come la forma della coda del gatto fuggitivo corrisponda a quella della cannella dell’acquaio, disegnata così da un acuto designer per versare l’acqua a destra o a manca, e già questo è un segnale, una bandierina che sventola all’orizzonte sul crinale di una collina azzurra, il segno che stiamo entrando in terra di esoterismi magie e fattucchiere. Ma il gatto prosegue serafico il suo itinerario, come il tram 8 barrato rosso. Ecco che fruga in un bidone della spazzatura, e indi stampa le sue impronte sul tetto di un’auto in sosta, poi visita una gattina azzurrina al di là del vetro di una finestra, e finalmente guata, nella vetrina del droghiere del quartiere, un salmone (fresco) decapitato. Notare come nell’immagine si legge il cartello riflesso nel vetro, in un gioco di dentro e fuori, preda e predatore, oggetto e soggetto, ecc. Ed ecco che il regista inquadra un essere umano; per pochi secondi mette in primo piano, in campo, le mani del droghiere che incarta due fette di salmone fresco (decapitato) in veline azzurre e in un foglio di carta gialla. E non si può non notare che l’unghia del dito medio della mano destra del droghiere è di un sospetto colore azzurro, un po’ come le veline che avvolgono le fette di salmone, come le ombre che avvolgono la casa già di Paperino e come gli occhi del gatto che avvolgono la scena dell’incartamento con un incantamento magico. C’entra forse l’estetica di Policleto? Il realismo socialista? Il neorealismo di Ladri di biciclette o il realismo magico di Miracolo a Milano? O cosa? Ma quel dannato gatto se la ride di ipotesi e congetture e teorie che vorrebbero trasformare una scena esoterica in una battuta spensierata, un riferimento galante alla moglie del pizzicagnolo, nella bagattella di un momento, piuttosto decide di seguire il cliente con il suo sacchetto di carta ecologico (cioè le due fette di salmone) fuori dal negozio… e il resto è una storia con il finale già scritto.

sabato 2 aprile 2011

Lampedusa Felix

I bootlegger hanno registrato tutto lo spettacolo del Boss, che si è esibito oltre 60 ore fa davanti ad un pubblico in delirio di fans, che non è l'acronimo dell'espressione farmaci anti-infiammatori non steroidei per individuare una classe di farmaci dall'effetto anti-infiammatorio, analgesico ed antipiretico, ma il plurale forse non usuale della parola fan, infatti Wikipedia scrive a proposito di fan: "Un fan (IPA:ˈfæn; plurale "fan" o "fans") è un appassionato di un particolare tema. I fan spesso si organizzano in gruppi più o meno formali noti come fan club. La comunità dei fan nel suo complesso è invece detta fandom. La parola fan è talvolta usata con un sottile connotato negativo, associandola al termine fanatismo". Insomma una fandomatica fandom di fan ha applaudito il Boss oltre 60 ore fa a Lampedusa. Il Boss ha iniziato con un classico sparato a tutto volume, La promessa (di sgravi fiscali per auto fiat, prima casa, ristrutturazioni, evasori fiscali, extracomunitari clandestini e rifugiati), seguita a ruota dalla sempre verde Ho comprato una casetta anche qua, e ha subito chiuso con un pezzo nuovo, lento e sentimentale, Premio Nobel per la Pace (a Lampedusa). Ovviamente ci sono stati vari bis, In cambio di un conquibus, Pagami il lesso, Finocchi lessi ho mangiato alla mensa negli asili di Stato, finalmente il concerto si è chiuso su una lunghissima, e in parte strumentale, summer song, Chi non salta comunista è è è... Il Boss ha cenato al ristorante Lampredotto con una ristretta cerchia di invitati, gente del posto; fedele al soprannome ha pagato Lui il conto, poi presenterà il conto allo Stato (mica si sta parlando di Springsteen). Prossimo spettacolo del Boss a Chioggia dove è prevista l'apertura di una bellissima centrale nucleare, s'intende dopo l'anno sabbatico del Veronesi, i biglietti sono già esauriti, intanto i chioggiani fischiettano Ha comprato una casetta anche qua qua qua... .