giovedì 30 settembre 2010

Molto obbligato, Gooogle


Panta rei os potamòs (dal greco πάντα ῥεῖ), tradotto come Tutto scorre come un fiume è il celebre aforisma attribuito ad Eraclito, ma in realtà mai esplicitamente formulato in ciò che dei suoi scritti conosciamo, con cui la tradizione filosofica successiva ha voluto identificare sinteticamente il pensiero di Eraclito con il tema del divenire, in contrapposizione con la filosofia dell'Essere propria di Parmenide (da Wikipedia, per il link vedi il post precedente). Sì, sempre quando mi imbatto nell'assistente tecnico Eraclito, nel prof Parmenide e nel collaboratore scolastico supplente Terzo Aristotele Escluso davanti alla macchinetta del caffè ecosostenibile, cappuccino, caffè d'orzo e tè, sempre mi sovviene nella mente vaga un film anni cinquanta, semplicemente intitolato Blob.

Sotto un cielo nero di lavagna lavata con una spugna (nuova) bagnata in acqua di sorgente di torrente amerikano anni cinquanta si profila la testa di un divo amerikano, qui vestente i semplici panni di un sempliciotto ma coraggioso buon figliuolo di provincia, eppure malvisto dalle miopi forze dell’ordine locali, cioè un poliziotto reduce di guerra. Eroe cogitabondo, eroe tabagista di nascosto, fermo al semaforo verde con la sua macchinetta (non penso fosse targata 313), davanti - e per sempre come in un sogno - a uno che gli urla sputacchiando saliva: famo‘nagara (curiosamente questo è anche il nome di un pilota giapponese di formula uno al tempo di Patrese). Comunque, non è questo il punto, il protagonista – in negativo – del film è un amorfo essere alieno precipitato dentro un meteorite, che rotta la crosta (alieno in crosta), pian piano si impegna a inghiottire tutto ciò che gli scappa urlante davanti che sia su quattro, due e tre zampe non gli importa,in pratica è il blob, o com’è meglio noto a Pistoia il pillotto. Bene, il signor Pillotto ingoia di tutto, è in continuo divenire, nel senso che diventa sempre più grosso (non grasso, grosso), eppure non scorre, piuttosto è un amorfo ammasso di rossa materia gelatinosa vivente aliena (forse comunista?). Il signor Pillotto non fa un caxxo dalla mattina alla sera, manco secernere un materiale duro (una conchiglia colorata), non si preoccupa di nulla, Essere o Non Essere un oggetto d'arredamento per Lui non è un problema, cangiarsi in uno strumento per udire le onde del mare?, figurati... Il blob non è alla base della scala evolutiva. E il suo posto nella piramide alimentare temo che sia proprio in cima, sulla testa di Zachi Havash (forse cercavi Zahi Hawass, grazie Gooogle, molto obbligato). Il pillotto è più antico delle piramidi d’Egitto, non si fa prendere per il naso da Cleopatra come Antonio, è più antico del cesto di Mosè, del rancore di Bruto, più antico della sbornia di Noè, probabilmente più antico anche di Rex.
Il suo magico regno è un cinema di una cittadina di periferia in una calda notte d’estate (però con l'aria condizionata).

martedì 28 settembre 2010

Tutto scorre (come un fiume)


Panta rei os potamòs (dal greco πάντα ῥεῖ), tradotto come Tutto scorre come un fiume è il celebre aforisma attribuito ad Eraclito, ma in realtà mai esplicitamente formulato in ciò che dei suoi scritti conosciamo, con cui la tradizione filosofica successiva ha voluto identificare sinteticamente il pensiero di Eraclito con il tema del divenire, in contrapposizione con la filosofia dell'Essere propria di Parmenide (da Wikipedia). Sì, sempre quando mi imbatto nell'assistente tecnico Eraclito e nel prof Parmenide davanti alla macchinetta del caffè ecosostenibile, cappuccino e caffè d'orzo, sempre mi sovviene nella mente vaga un fumetto disegnato dalla matita di Scarpa anni sessanta (probabilmente 1966, ma le chine di chi?) di un Paperino cogitabondo e fermo al semaforo verde con la sua macchinetta targata 313, e dietro - e per sempre come in un sogno - c'è uno che gli urla sputacchiando saliva chiedendogli se sta meditando sull'Essere e sul Divenire.
Ma oggi il tutto scorre è inteso in senso negativo, cioè quel libro, quel programma della lavatrice, quel film, non fa presa, non addenta i colori, non ingrana la marcia, scorre come gocce d'acqua sulle penne di un papero bagnato. Be', siamo o non siamo figli di una civiltà industriale, una delle tante sparse qua e là nel vasto mondo, insomma nell'universo... e allora.
A proposito di civiltà industriale come dimenticare Dickens, David Copperfield, Grandi speranze, Tempi difficili, e soprattutto il Circolo Pickwick? Be' l'ho dimenticato... nel post precedente, ovvio. E a proposito di tutto scorre e Paperino fermo al semaforo con la sua 313 come ho fatto a dimenticare Carl Barks?! (o anche !?), sempre nel post di ieri, ovvio.
Forse perché tutto scorre come il grande fiume dove navigano Huck Finn e Jim, e come in quel fiume talvolta ci si impantana, poi si prende il largo, scansando ippopotami e galline a bagno e talaltra ci si infila in un banco... di nebbia, ma sempre in fuga da maestri e redentori... Be', forse si dimenticano i Maestri (Dickens e Barks) perchè ci piace pensare, noi poveri grulli, che pensare è come attingere l'acqua da un fiume che talvolta è in secca, come nella canzone di Bruce Springsteen (The River), talaltra tracima come il Terzolle nel 1966, mentre Loro, i Maestri (Dickens e Barks, ovvio) producevano opere come gli antichi artigiani greci e medioevali, una cattedrale in 5 anni, un romanzo in 20 mesi, una storia a fumetti in 3 settimane. Poi si guardavano un po' attorno, magari un po' di tv, un dividi di vampiri e zombi e alé al lavoro sull'Opera Immortale.
Forse perché, come disse lo zio scemo di Pedro Calderón de la Barca che poi emigrò in Argentina (lo zio non Pedro), la vita è sogno, aspetta che non ho finito la vita è un sogno leggero e breve e peso ed interminabile...


...dipende dai punti di vista.
Compañeros, oh, oh, cioè Olé!
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domenica 26 settembre 2010

io sono qui


io sono qui, voi dove siete? Tozzi e Kafka e Saramago Mark Twain e Thurber Calvino e Campanile Achille d'egitto e il bruno Cicognani con la bianca barba... bianca e ovvio lo scimmiotto Meneghello e certo il Fante e poi Steinbeck piuttosto che Savaaage?

Voi dove siete? E dove se ne è andata l'ochetta Martina...

L’imperatore – così si racconta – ha inviato a te, a un singolo, a un misero suddito, minima ombra sperduta nella più lontana delle lontananze dal sole imperiale, proprio a te l’imperatore ha inviato un messaggio dal suo letto di morte. Ha fatto inginocchiare il messaggero al letto, sussurrandogli il messaggio all’orecchio; e gli premeva tanto che se l’è fatto ripetere all’orecchio. Con un cenno del capo ha confermato l’esattezza di quel che gli veniva detto. E dinanzi a tutti coloro che assistevano alla sua morte (tutte le pareti che lo impediscono vengono abbattute e sugli scaloni che si levano alti ed ampi son disposti in cerchio i grandi del regno) dinanzi a tutti loro ha congedato il messaggero. Questi s’è messo subito in moto; è un uomo robusto, instancabile; manovrando or con l’uno or con l’altro braccio si fa strada nella folla; se lo si ostacola, accenna al petto su cui è segnato il sole, e procede così più facilmente di chiunque altro. Ma la folla è così enorme; e le sue dimore non hanno fine. Se avesse via libera, all’aperto, come volerebbe! e presto ascolteresti i magnifici colpi della sua mano alla tua porta. Ma invece come si stanca inutilmente! ancora cerca di farsi strada nelle stanze del palazzo più interno; non riuscirà mai a superarle; e anche se gli riuscisse non si sarebbe a nulla; dovrebbe aprirsi un varco scendendo tutte le scale; e anche se gli riuscisse, non si sarebbe a nulla: c’è ancora da attraversare tutti i cortili; e dietro a loro il secondo palazzo e così via per millenni; e anche se riuscisse a precipitarsi fuori dell’ultima porta – ma questo mai e poi mai potrà avvenire – c’è tutta la città imperiale davanti a lui, il centro del mondo, ripieno di tutti i suoi rifiuti. Nessuno riesce a passare di lì e tanto meno col messaggio di un morto.
Ma tu stai alla finestra e ne sogni, quando giunge la sera.

F. Kafka (La costruzione della muraglia cinese)
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giovedì 23 settembre 2010

Coprendo Federico Moccia

Un link trovato sulla rete per uno scrittore vivente (in Italia?) e un film ordinario, infatti c'è già il dvidi.

Copio dal post del link due citazioni dal romanzo:

“Io farei tutto mare… Ma se qualcuno è allergico?”
“Al pesce? Non lo invitiamo!”
“Ma dai, non è carino!”
“E i fritti?”
“Ci devono essere!”
“E un po’ di prosciutto crudo?”
“Ci deve essere!”
E un po’ di parmigiano?”
“Ci deve essere!”

Be'?

Poi nel libro c'è una che si chiama Olimpia e si meraviglia di uno che si chiama Egidio:

"Egidio. Che razza di nome. Ma chi è, uno del Mille avanti Cristo? E’ un nome troppo antico."

Fermo restando che non ho mai letto Moccia, il titolo di questo post potrebbe far pensare, a qualche lettore malizioso, alla lettiera del gatto (magari quella che poi si appalla) soprattutto se connesso il titolo al titolo del mio post precedente. Addirittura di Thurber ho letto un racconto (1) sulla carta (L'età degli scrittori, in Gli uomoristi moderni, Garzanti 1971). Ma non è così. Perché voglio spezzare una lancia in difesa dell'umorismo forse involontario ma comunque presente in Moccia, come del resto nei film di Dario Argento.
Purtroppo Argento non è Carpenter né Moccia è Thurber: i due non ci hanno mai pensato e ora è troppo tardi.
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sabato 18 settembre 2010

domenica 12 settembre 2010

Scoprendo James Thurber

Un link trovato sulla rete per uno scrittore estinto (in Italia) e una serie tv straordinaria, infatti mai più trasmessa.

sabato 4 settembre 2010

Case in capo al mondo, IX


Toh, due sempliciotti sui tetti di Parigi. Uno dei due è un aviatore inglese “generico”, mentre l’altro è uno "specialista" nell’arte di miscelare i colori e pitturare con pennelli e pennellesse i muri e le facciate delle case. E' proprio con un pennello (e non con una pennellessa), tenuto saldo e leggero nella mano, il pittore, quella mattina passate da poco le 9 di un giorno di inizio estate, toccava e ritoccava la superficie da verniciare senza uno sbaffo di colore. Il pittore stava in equilibrio, sospeso ad un paranco, tra precisione e determinazione, e nel caso contingente dipingeva una griglia di verde. Il lavoro per quanto fino non gli impediva di guardare attorno e anche giù in basso, dove la Storia, tra stracci penduli e divise ariane, se ne stava, come un levigato sasso nero addormentato sul fondo di un torrente montano, nell’attesa non di un salmone né di una trota salmonata ma nientepopodimenoche di un obergruben fűhrer qualunque, oggi novantenne pensionato sbrodolone. Il generico si picca, fin da quando è atterrato con il paracadute sulla testa del pittore francese (A) di essere messo in salvo dal pittore, (B) essere accompagnato ai bagni turchi (a quel punto, esaudite le desiderata A e B, il pittore potrebbe anche cavarsi il gusto di fumare un sigaro toscano e chiamare l’aviatore Ismaele o Melampo). Lo specialista si chiama Agostino (o Agostina), del generico adesso mi sfugge il nome (tanto è un generico). I due sono stranamente amici e s’incoraggiano a vicenda nella ricerca di una via di fuga sopra i tetti di Parigi (che la città sia proprio Parigi e non Peretola è provato dalla torre Eiffel - coordinate: 48°51′30″N 2°17′40″E come scriverebbe Verne - visibile in lontananza). Al loro passaggio sui tetti tutti i tedeschi del posto giù in basso sgranano tanto d’occhi, non alla vista dell’imbianchino, gliene importa assai ai tedeschi occupanti (ce l’hanno uno a casa che vocia alla radio dal millenovecentotretatre), ma perché li vedono (il generico e lo specialista) così vicini vicini e pure così lontani lassù in alto sopra i tetti di Parigi.


Bene, dai e dai i due fuggitivi vedono un utile abbaino e vi si calano, poi scendono le scale di un palazzo, intenzionati ad approdare al piano stradale. Scendono di corsa al sesto piano e poi al quinto. Afferrando la ringhiera della prima rampa di scale che mena al quarto (ci sarebbe anche un ascensore volendo ma è ignorato dai due, causa la trama) i due odono il rumore di stivali tedeschi che calpestano gli scalini della prima rampa di scale al piano terreno, uno sgradevole rumore che li fa desistere dall’impresa di approdare al piano terra, che fare? stare per sempre sui tetti? be', mentre risalgono la prima rampa di scale che porta al sesto piano la porta dell’appartamento del quinto si apre ed esce una ragazza preoccupata per un possibile rastrellamento tedesco (si preoccupa per il prossimo e pure per i vicini), i due la vedono e vedono la porta aperta e vedono la salvezza, a portata di mano questa volta e non di piede, e scendono ed entrano dentro l’appartamento.


Ai due tapini basterà farfugliare qualche parola e saranno salvi. Tutti salvi, anche gli animali con la clonazione, e il resto è Storia... cioè è una commedia francese (Tre uomini in fuga, 1966). Resterà un mistero come la rappresentazione imbastita lì per lì o là per lì o lì per là di una scenetta familiare di un litigio fra marito e moglie, con l'aviatore in bilico sul tetto dell'ascensore, possa confondere e deragliare l'attenzione di esseri così superiori e razionali come erano i tedeschi di una volta.

Bene, chi non ha sognato, guardando fuori dal finestrino di un treno che corre sferragliando in un pomeriggio d’estate, di scendere alla prima stazione e dopo pochi metri di strade sconosciute entrare in un portone di una casa, passare da stanza a stanza come se fosse nostra. Case in capo al mondo, case dietro l’angolo, case nascoste da un muro di giardino. Case sconosciute eppure familiari, case come ultimo rifugio sicuro o il primo (dipende dai punti di vista).

Egli trasse un profondo respiro. “Sono tornato”, disse.
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