Un tema tipico nel cinema di fantascienza è il mondo senza di noi, che guarda caso è anche il titolo di un saggio d’Alan Weisman (numero uno nelle classifiche di vendita americane per molti mesi). Un tipico saggio americano frequentato da scienziati seriosi e preoccupati, ma con la barbetta brizzolata, snelli e giovanili a più d’ottant’anni per gamba, con occhi vispi che disegnano una mezzaluna quando riflettono, che si stringono nelle spalle, e forse si torcono le mani, in pratica il buon Veronesi. Be’, in quel saggio c’è scritto che per distruggere un fienile è sufficiente fare un buco di un centinaio di centimetri quadrati nel tetto del fienile, e poi stare a guardare (se a bocca aperta non è scritto) e lasciare fare alla natura. Il giorno dopo la scomparsa dell’uomo la natura già prenderà il sopravvento (e senza incentivi): un esile filo d’erba lasciato a se stesso si trasformerà, piano piano, anno dopo anno, in un possente albero che sbriciolerà il marciapiede.
E ancora una volta ci si ritrova in questa Los Angeles post-qualcosa-di-terrificante, nel caso particolare post terremoto del 1998. L’anno però è il 2013, e un certo Kurt Russell percorre la notte e le strade sbriciolate della città in rovina, alla ricerca della figlia del presidente. Stanco si siede al confine della notte e di Beverly Hills, volta le spalle ad un negozio di robivecchi, a qualcuno che vende mappe per le stelle.
Sono passati 42 anni, ma il negozio non è affatto cambiato, come le mummie della cripta dei cappuccini che guardate... gli manca solo la parola (o almeno questo è ciò che Alberto Angela immancabilmente osserva), così il negozio è sempre quello, indimenticabile, di Sanford & Son.
Certo, il terremoto del 1998 deve avere aperto almeno un buco nel tetto, tuttavia è un miracolo, un miracolo a Los Angeles, che sia rimasto in piedi e aperto (anche di notte).
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