domenica 16 maggio 2010

CEIsAAA, VIII

Se hai figlie femmine sei fortunato, se hai figli maschi sei disgraziato. L’imperatore tutti li vuole a costruire la Grande Muraglia. Non ne vedi le fondamenta, vedi solo biancheggiare ossa di morti. Così recita una antica canzone dedicata a Qin Shihuangdi, colui che, unificata la Cina, assunse il titolo di imperatore (il numero uno), ovviamente della Cina. Strano ma vero, Qin Shihuangdi non fu amato dai contemporanei. Eppure fece un sacco di cose: creò la guardia civile, unificò pesi e misure, battè moneta, uniformò la scrittura, costruì reti di canali e strade; come i faraoni era ossessionato dalla morte, appena salito al trono era già lì che progettava la sua tomba. Una vera fissazione. Fonti cinesi narrano che la tomba del primo imperatore era come una città sotterranea, con case giardini e negozi, campi sportivi e parcheggi per i carri, la città era attraversata da due fiumi di mercurio. Una tomba leggendaria che probabilmente non è mai esistita. Ma che c’entra Qin Shihuangdi con i nostri amati studi di storia dell’Asia Anteriore Antica? Ebbene, questa premessa era necessaria per presentare un eroe leggendario, forse il primo re di Orzowei, un sovrano che ben duemila anni prima del primo imperatore della Cina, si agitava giorno e notte per lasciare ai posteri un ricordo indelebile, il leggendario Berlumesc. E’ vero, l’epos lo raffigura come un tiranno che sottopose a lavoro forzato tutti i suoi sudditi nella costruzione delle ciclopiche mura che circondavano la favolosa città scomparsa, riscoperta negli anni trenta, scavando nel sito di Favbrillhà. La capitale di un regno scomparso e misterioso, fino al fatidico giorno in cui O.K. Allright riempì il nostro animo di stupore identificando il sito di Favbrillhà con la capitale del regno di Orzowei (1). Quel giorno tutti i pesci salirono a galla e finirono nella rete del grande filologo orientalista, così che le tavolette di Favbrillhà potevano risplendere di luce propria, illuminando, con una corrispondenza sia interna sia esterna, un apparato statale formidabile, che trattava da pari a pari con le potenze del tempo, compreso l’Egitto del misterioso faraone Pupo I, dalla vita lunghissima e dal regno, se fosse possibile, ancora più lungo: si stima un centinaio di anni o forse più. Purtroppo non è più fra noi il nostro carissimo collega Arne Otto Saknussen, perdutosi – prematuramente - tra le nevi del Tibet la scorsa estate, ché (potremo mai scordare la sua voce chioccia?) l’avremmo già visto balzare su, urlante una domanda (che non essendo mai stata formulata mai avrà una risposta) e cioè come si spiega una così lunga vita in tempi in cui l’igiene era un optional e non esisteva ancora la medicina ufficiale?
Nel 193* la stampa mondiale potè dare notizia che nell’archivio di Favbrillhà era stata scoperta una tavoletta contenente l’epopea di Berlumesc, ma, data la cronica scarsità degli addetti ai lavori, nel campo dell’orzoweiologia, sono passati troppi anni prima che se ne sia potuto ricavare un barlume di interpretazione, e ne passeranno altrettanti, temo, prima di poter procedere ad una doverosa pubblicazione organica ed esaustiva su queste pagine. Ma un egregio esempio di lettura della tavoletta, ci viene offerto dal lavoro del Socio Silver S. Spikspan.

Come gli antichi scribi riuscissero a fare entrare in una tavoletta, per la precisione la tavoletta 313.c dell’Archivio orientale di Favbrillhà (una tavoletta del formato di un francobollo), un intero inno, è una questione tuttora da risolvere. Si ipotizza che nel III millennio precristiano lo scriba palatino utilizzasse lenti di ingrandimento (è un fatto assodato che le lenti di ingrandimento erano vendute nelle mesticherie come utensili per accendere il fuoco) per leggere i segni incisi sulla tavoletta, fortuna vuole che le tavolette erano di argilla e non di cera. Be’ chi era Berlumesc? Noi non lo sappiamo, anche se sospettiamo che sia stato il primo re della dinastia dei re di Orzowei. L’epopea inizia con un peana e un lamento alla luna, Berlumesc è presentato come un despota che rincorre le fanciulle ed infligge agli uomini lavori estenuanti:

Cantami o Luna, di Berlumesc la risata funesta,
tutte le cose prese e ci lasciò una lisca.
(*)
Egli con occhio neghittoso vide ciò che era segreto,
con occhio voglioso scoprì ciò che era celato,
non lasciò in pace né vecchi né bimbi,
tutti li volle sotto, a macinare orzo, per farsi la birra,
la sera ebbro raccontava, a Skakajolo, storie di prima del diluvio.
Egli rincorse diecimila fanciulle, tremila pecore e un fagiano,
finché stremato, perse i capelli e trovò la pace,
fece incidere tutte le sue fatiche su una tavoletta di argilla: codesta!
(ma “codesta” non lo scrivere, o scriba maldestro!).
Egli fece costruire le mura di Orzo-il fienile,
e del santo Orzo-il covile, dove custodiva sacri tesori.
Mira le mura dai fregi intrecciati come lana caprina.
Calpesta la soglia a gradini di età antica.
Sali sopra le mura di Orzo-il fienile e percorrile in tondo.
Assaggia le fondazioni, annusa la base di mattoni.
Non furono le sue pizze davvero cotte in un forno a legna?


Berlumesc è uno strano miscuglio di Davide e Golia, un gigante astuto, con una copiosa chioma corvina e riccioluta, e una gran barba nera che arriva fino all’ombelico, l’eroe ha un timbro di voce che sembra un tuono in aperta campagna, ed è dotato di una grande parlantina:

Berlumesc, alto, logorroico e terribile,
che aprì passi nelle montagne tirando una ciabatta,
che scavò pozzi con i denti sui fianchi delle montagne,
che attraversò il grande mare aperto e non si bagnò le ginocchia;
che esplorò il mondo alla ricerca della brillantezza (eterna).
Chi potrà eguagliare il suo portamento regale (già chi?),
e dire come Berlumesc con voce di tuono in aperta campagna: « Io sono unto»?
Berlumesc era destinato alla fama dalla nascita:
per 3/4 è dio, per 1/3 uomo, per 2/8 è un mistero tremendo.
Fu il Sole a disegnarne la forma,
e l'acconciatura dei capelli fluenti, e la barba nera fino all’ombelico, e l'aspetto radioso, e...


lacuna

Gli abitanti supplicano la dea Luna, e la Luna ci pensa un po’ su e decide di creare Skakajolo, un essere mostruoso, un idiota di proporzioni gigantesche, un gigante ottuso e ignorante ma forse capace di affrontare e vincere Berlumesc:

Tutto il suo corpo è ricoperto di peli rossi,
i capelli del suo capo crescono come orzo.
Ma non conosce la birra né le leggi del suo paese;
egli è vestito come un venditore di almanacchi dell’anno passato,
egli è calzato come la serpe del fosso riarso.
Con le capre egli bruca l'erba,
con i bovi beve nelle pozze d'acqua,
con i gatti gioca a nascondino.
E’ acclarato che è un povero tapino.
Egli non ha un riparo, si bagna la zucca quando piove.
La Luna protegge e difende i suoi interessi
[ ]

I due eroi si affrontano in aperta campagna, dunque fuori le mura di Orzo-il fienile. Berlumesc vince, ma prova subito dopo una calda amicizia per il povero gigante disgraziato e ne fa il proprio maggiordomo di palazzo. Lasciato il palazzo nelle mani capaci di Skakajolo, d’ora innanzi Berlumesc prodigherà il suo indomito vigore in opere pie ed imprese eroiche, come abbattere una intera foresta di cedri, uccidere il toro sacro della dea Luna, disegnare sulla sabbia reti di canali e di strade, ecc. Mentre Berlumesc è alle prese con le sue eroiche imprese, il clero invidioso, del tempio Orzo-il covile, convince Skakajolo dell’approssimarsi di una terrificante tempesta e di un diluvio universale. Skakajolo fugge atterrito nel bosco, regredendo ben presto ad una semplice vita pastorale. Infatti, a questo punto del poema, c’è una lunga digressione sui tentativi infruttuosi di Skakajolo di convincere il dio Lira a sostituire il suo strumento musicale con uno zufolo, o ciufolo, dal latino sibilus, sibilo; ma la divinità s’infuria e trasforma Skakajolo in un piccione bianco (da qui l’origine dei piccioni skakaioli). Gli dèi esaudiscono la falsa profezia del clero del tempio Orzo-il covile e una terrificante tempesta si scatena sulla terra, e la terra è inondata: tutta l’umanità è ridiventata argilla, cioè quasi tutta, si salvano Berlumesc, una dozzina di fanciulle, tre pecore e un fagiano. Spunta l’arcobaleno e improvvisamente Berlumesc perde i capelli, ma non si rassegna all’evidenza e prende a lamentarsi:

Che fare, dove andare?
Un demone ha preso possesso della mia testa;
capelli
[ ] cuscino [ ]
capelli
[ ] pettine [ ]
capelli
[ ] zuppa [ ]
capelli ovunque io vada
[ ]
capelli [ ]

lacuna

Un mago locale impietositosi del lamento del sovrano regala all’eroe la “pianta della brillantezza”; tutto felice l’eroe, con la piantina stretta nel pugno, si dirige fischiettando verso Orzo-il fienile, saltellando come una capretta in primavera e cantando strofe licenziose, accompagnandosi col liuto. Ma arrivato ad uno stagno, tutto accaldato, non esita a buttarsi dentro, e una biscia, attratta dal profumo della pianta, esce dall’acqua, mangia la piantina e si ricopre di peli. Berlumesc definitivamente sconfitto, arriva, singhiozzando amaramente, alla città deserta. E invita il mago locale (che lo ha seguito tenendosi a distanza) a salire sulle mura della città per ammirarne le fondamenta… A questo punto il testo si interrompe bruscamente, perché la tavoletta 313.c purtroppo è spezzata in basso a sinistra. (2)

(*) Berlumesc fondatore della lingua orzoweiana classica?

(1) Atti dell’Assemblea di Primavera dei Soci Fondatori, tenuta nella soffitta della sede distaccata, di New Bedford, della Pierpont Morgan Library, il 1 marzo 1944.
(2) Un Gilgameš a Orzowei?, Nota del Socio Silver S. Spikspan, presentata dal Socio C. Pancalakaprakampa, nella seduta del 28 febbraio 1954. Estratto dal vol. I, 1° sem., fasc. 1, dei "Rendiconti della Accademia degli Orzoweiani".

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