venerdì 7 maggio 2010

Commento a un commento ai PS (n. 9)

Uscite dalla fanga et io farò di voi un'Armata ardita

Esiste una patologia che fa sì che allo specchio si veda un mostro? Be' intanto con questo post continuo una serie di post dedicati al commento di una serie di note poste a commento a una vecchia edizione dei Promessi Sposi (PS). Il libro, comprato nel lontano 1997 è una ristampa di una vecchia edizione, commentata quasi virgola per virgola da un petulante e anonimo commentatore, probabilmente vivente e operante nella prima metà del secolo scorso.
Come dire, un modo come un altro per (a) consumare la vista: i caratteri che compongono le note di commento sono assai minuti; (b) rileggere i PS; (c) capire perché professori di scuola superiore invitano alla compera di PS che costano una sassata perché contengono almeno 10.000 note.

Piccola legenda alla lettura dei post:
[…] testo dei PS […]
(x) commento dell’anonimo commentatore

Da dove si continua? Ovvio, dalla terza nota del capitolo XI, cioè dal soliloquio di don Rodrigo.

[...] In quanto ai sospetti, - pensava, - me ne rido. Vorrei un po’ sapere chi sarà quel voglioso che venga quassù a veder se c’è o non c’è una ragazza. Venga, venga quel tanghero, che sarà ben ricevuto. Venga il frate, venga. La vecchia? Vada a Bergamo la vecchia. La giustizia? Poh la giustizia! Il podestà non è un ragazzo, né un matto. E a Milano? Chi si cura di costoro a Milano? Chi gli darebbe retta? (3) Chi sa che ci siano? Son come gente perduta sulla terra; non hanno né anche un padrone: gente di nessuno. Via, via, niente paura [...]

(3) Chi gli darebbe retta? Non è una sgrammaticatura (come afferma il Rigutini), ma ha esempi anche classici ed è dell’uso (nessuno direbbe in Toscana chi loro darebbe retta). Gli è stata sempre forma comune per il singolare e per il plurale, per il maschile e per il femminile; e le maestre farebbero bene a essere un po’ più indulgenti, su questo punto, coi poveri ragazzetti di terza elementare.

Manzoni scriveva in italiano, anzi in toscano, forse in fiorentino, infatti, Renzo che vive da qualche parte nei pressi del lago di Como ciarla liberamente con mezzo mondo, e con genti di città e con genti di campagna e tutte le terre porgono orecchio e, soprattutto, lo capiscono, anche gli asini e i maiali lo capiscono (e viceversa), e se farfuglia fra i denti una frase con i puntini di sospensione l'oste della malora fa subito sì con la testa, e non solo ma Renzo chiama tutti buoni figliuoli; un po’ come succede in Star Trek (dove anche l'alieno di forma e sostanza di un sasso con il muschio sopra è un bravo figliuolo, infatti, comunica con Spock e prima o poi farà piangere il Capitano per qualcosa o per qualcuno o per qualcosa che ha perso qualcuno da qualche parte, benedetti 'sti alieni distratti), però Manzoni era nato a Milano, mentre dell’anonimo commentatore (ac) che incombe, narcisticamente parlando, sul povero Manzoni come un pipistrello spelacchiato priapescamente ossessionato dalla grammatica anche quando fa il superiore e il lascivo, non conosciamo né data né luogo di nascita. Noi avanziamo una peregrina teoria, cioè che dietro ac ci sia il nostro buon figliuolo Omero Redi (quello delle pìstole al buon lucertolo, il Vamba).
Sempre così refrattario a declinare indirizzo e mostrare carta d'identità e codice fiscale, tanto da inventarsi un nome Ermenegildo, un cognome, Pistelli, e una professione, il prete, palesemente e spudoratamente falsi, l'Omero Redi è stato a suo tempo elogiato da Tullio De Mauro in Parlare italiano (Laterza, 1972): “dietro l’apparenza umoristica vi troviamo analisi esemplari della condizione dell’insegnamento e proposte, ancora oggi positive o addirittura d’avanguardia, per una educazione libera, critica, non autoritaria” (pag. 395).
Ecco subito un esempio di proposta positiva o addirittura d'avanguardia per una educazione libera, critica, non autoritaria e che svela l'identità del nostro anonimo commentatore (nac): “mentre dei professori ce n’è tanti che fuori di scuola parlano come me e come te, che nessuno di noi direbbe mai come una professoressa e io dissi loro, ma si dice gli dissi maschio e femmina singolare e plurale, anzi io, come ti sarai accorto, anche quando scrivo scrivo sempre gli dissi…” (Pìstola LV), e conclude: “…professoresse io non ne ho avute mai, e in fondo son contento che sia così perché a me mi pare che per un omo sia sempre un po’ di vergogna farsi insegnare qualcosa da una donna, fuorché dalla mamma”. Ancora, quando l'Omero, accompagnato dal prete, che gli sta sempre alle costole (che poi è sempre lui), assiste a una conferenza sui “Principii fondamentali della pedagogia scientifica”, ancora prima di mettersi a sedere già prende per il culo l’aspetto fisico del povero conferenziere: “era uno spilungone con gli occhiali e aveva un palandrone nero che il suo corpo striminzito ci nuotava dentro e quando si presentò in mano aveva una gran tuba che a tempo del re Pipino sarà stata nuova” (Pìstola LVI). Seduto, ben presto s'addormenta, cullato dalla “vocetta agra in falsetto che pareva quando arrotano i denti a una sega” del conferenziere. Al risveglio l'Omero non ricorda nulla della conferenza e non può fare una sintesi all’amico lucertolo, che ha la bava alla bocca perché ha un Giornalino che morde il freno in tipografia, ed è sempre assetato di notizie e di gossip; cioè una cosa Omero la ricorda: una riflessione del segaiolo stringaforme sulla triste situazione dell’edilizia scolastica di quei tempi là, con la sentita speranza che tutte le scuole del regno - allora non era un modo di dire - avrebbero dovuto avere (o sul davanti o sul didietro) un fiocco rosso e un bel giardino verde verdino, con tanti alberi da ombra, sempreverdi - dicesi sempreverdi tutte quelle piante che, contrariamente alle caducifoglie, non lasciano cadere le foglie durante la stagione avversa. Sono normalmente legnose (alberi, arbusti, cespugli); la caduta fogliare ed il conseguente rinnovo, avvengono gradualmente, di norma durante la formazione delle gemme. Le foglie possono persistere funzionali sulla pianta per più anni. Sono comuni, spesso prevalenti, nei climi tropicali umidi oppure nei climi freddi, dove, per motivi opposti, la persistenza delle foglie non mette in pericolo la sopravvivenza della pianta (Wikipedia) - e fin qui anche l'Omero è d’accordo, sia con il conferenziere nastriforme che con la citazione da Wikipedia, ma i giardini non sono lì per bellezza, con quel che costa il suolo urbano soprattutto con vista su rudere romano, perché ogni cinquanta minuti di lezione, i giardini verdolini, avrebbero accolto gli alunni bianchi, verdi, rossi e gialli “a prendere aria”, così che, con la mente svagata, sarebbero stati attenti alla lezione successiva del maestro o professore. E Omero ride, come rideva Franti. Uno solo poteva ridere mentre Derossi diceva dei funerali del Re, e Franti rise. Io detesto costui. È malvagio. Da orecchia a orecchia ride l'Omero con la faccia nascosta sull'omero e se ne vanta con lucertolo, che mica è Franti (povero Franti espulso da tutte le scuole del regno); ride l'Omero malvagio, pensando agli urli di gallina stretta all’uscio del direttore scolastico, tutte le mattine feriali del mondo, per fare entrare gli alunni nelle classi, ride pensando all’impossibilità dei maestri o professori di fare lezione il primo giorno di scuola dopo le vacanze di Natale di Pasqua o il lunedì, insomma ride.

Omero aveva ragione? E io che ne so... Ma mi pare a me di aver provato, a sufficienza, che ac è Omero Redi, ma da quella nota di ac del capitolo XI possiamo ancora macinare farina.

L’usanza di tanti maestri di raccogliere temi e componimenti e giustificazioni di forche fatte dagli scolari, così come le collezioni di francobolli da parte di giudici e avvocati, risale probabilmente al tempo del codice di Hammurabi, ma per macinare la farina non serve spingersi fin là, ché basta arrivare all'anno 1918, in Italia, con ben due citazioni. La prima citazione è presa dalle Pìstole di Omero:

“Tra i documenti che in tanti anni ha messo assieme il mio professore, ce n’è uno così buffo che gli ho domandato di poterlo pubblicare. Un caro bambino di terza elementare – che ora è un bravo ingegnere ed è stato anche un valoroso ufficiale nella nostra guerra, che si chiamava Cecchino e il mio professore lo chiama ancora così – una mattina riuscì a imbrogliare la donna di servizio che l’accompagnava e invece di andare a scuola andò dalla nonna, e le diede a intendere che quel giorno era vacanza. Come rimediarla la mattina dopo? Scrisse da sé una scusa, a nome della mamma, e la portò al maestro. Ve la copio tal quale, perché è un piccolo capolavoro:

Caro signor maestro,
Lei deve sapere che il mio bambino ieri non venne a scuola perché aveva mangiato troppe ciliege coi noccioli e io gli feci prendere un purgante e lo feci stare a letto. Il purgante era molto cattivo ma la mamma mi promise di portarmi a prendere un gelato, e allora lo bevvi tutto d’un fiato e mi ha fatto l’effetto benone. Dunque scusi e mi creda la sua
affezionata serva M. P.

Vi potete immaginare quel che accadde. Il maestro sulle prime voleva star serio ma non gli riusciva. Mandò a chiamare il Direttore, che era molto severo, e gli dette la lettera. Quello la lesse, tentò di fare un predicozzo, ma sul più bello gli venne da ridere e dovè scappare. Gli altri ragazzi fecero una baldoria che non vi saprei descrivere […] il peggio fu che da quel giorno i compagni ogni mattina quando arrivava gli andavano incontro a domandargli: - Cecchino, come sta l’affezionata serva? – E lui ci piangeva di rabbia”. (Pìstola LXII).

E la seconda citazione è una lettera scritta dalla vedova di un soldato fucilato nella guerra del 1915-1918, lettera allegata agli atti processuali, rimasta senza risposta.

"29 gennaio 1918
Eccellenza,
Sono due mesi, daché il mio consorte U.C., soldato del 39° reggimento fanteria, è stato fucilato, ed io fino ad oggi era ignara di tutto; però se egli ha meritata tale pena, perché ha tradito la Patria, allora io mi rassegno a tutto ciò che hanno fatto i suoi superiori, i quali non agiscono né sbadatamente e né per vendetta; ma se poi è stato per mero errore o per false denunzie, allora mi permetto di pregare la S.V. perché assuma tutte le informazioni possibili e si ricordi che sono vedova con un figlio e sono digiuna nel vero senso della parola. Attendo riscontro e La saluto
Dev.ssima Serva A.C
." (1)

Le due giustificazioni hanno molte cose in comune, entrambe sono state scritte non dal soggetto ma da qualcuno che ha cercato di esprimere concetti virtuosi stando immerso fino al collo in un mare di merda. In un tempo quando i gamberottoli di buona famiglia borghese si vergognavano quasi come figli di emigrante o di spazzacamino di avere uno zio imboscato o traditore, piuttosto orgogliosi di avere un parente in marina e uno appostato sui tetti a sparare ai passanti, e prendevano in giro i figli della povera gente almeno due volte al giorno (noi fortunati che viviamo in un presente democratico e radioso, ecc. ecc.), tentare di scrivere una giustificazione su qualcosa che non era possibile giustificare era un'impresa degna del Barone di Münchausen, ché a quei tempi là i figli della gente comune erano come gente perduta sulla terra, e guai a chi veniva scambiato per uno di loro.

Allora esiste o non esiste una patologia che fa sì che allo specchio si veda un mostro? Probabilmente sì, di sicuro di tale patologia non ne doveva soffrire il buon Omero né ne soffre il nostro amato Silvio (nas).

(1) Tullio De Mauro, Parlare italiano, pag. 626 (Laterza, 1972)
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