Come passa il tempo solo ieri andavamo in giro con maglioni di lana e sciarpe e scarponi con sotto la mota e cappottoni da milite ignoto e oggi c'è questo sole polveroso, promessa di una stagione di leggerezza infinita e vediamo le strade secondarie deserte libere correre i cani senza guinzaglio…
Solo ieri...
E poi c’erano quelle strisce abitate da insopportabili gamberottoli con la testa tonda, che parlavano e pensavano come vecchi pensionati disillusi delle donne e dal governo; menavano a spasso un bracchetto senza guinzaglio, saggio e petulante nella sua mutezza di sfinge egizia. Dormiva il bracchetto nasuto, sdraiato a pancia all’aria sul tetto della cuccia in giardino, e sognava di essere l’eroico avversario in combattimenti del barone rosso in un cielo di piombo.
Poi con gli anni Ottanta sono venuti i Simpson: codesta famigliola americana con padre obeso infartuato teledipendente, madre idiota blaterante con capelli blu ritti in testa come un cespuglio ardente, e due figli metodicamente inetti, in un verso o nell'altro, più una bimba ancora libera nella sua incapacità di parlare davanti agli esami della vita. Cane, gatto e nonno con dentiera sbrodolosa completano la serie della famiglia delle figurine gialle. Attorno un contorno di umanità metodicamente assurda, il barista racchio, il ciccione sbronzo, il preside ex berretto verde con madre arpia, la maestra tabagista, l’ispettore scolastico pomposo, il vecchio padrone della centrale nucleare e il suo affezionato portaborse, ecc. Dall’altra parte del secolo passato, in Italia, c’era un certo Vamba e il suo Giornalino con le pìstole di Omero Redi, e tanti altri collaboratori più o meno illustri: “Pirandello, Serao, Salgari, Fucini, Mascagni, Ojetti, Pascoli, Capuana, Aleramo e molti altri” (L' educazione dei fanciulli da Gian Burrasca ai Simpson, M. Serra, Repubblica, 05 marzo 2006). Dietro il Giornalino di Gian Burrasca c'era tutta la letteratura d'evasione del "ragazzo cattivo" di radice americana (Bad Boys), così, anche se in tono minore, nelle Pìstole di Omero:
“…era dispettoso, come anche col gatto che lo verniciava di verde da persiane quando gli riusciva sulla schiena e quella povera bestia restava delle settimane rimbecillita” (Pìstola di Omero, VII).
Sarebbe interessante sapere nella lettura di quale numero romano di lettera di Omero Redi, Vamba capì che l'autore non era un ragazzino delle elementari ma un adulto, anzi peggio un letterato, papirologo e professore di greco e latino (oltre che prete), cioè l'interventista e poi fascista Ermenegildo Pistelli. Forse fu allora che le pìstole si appesantirono di allusioni e citazioni e visite a poeti, e tanti nomi di ragazzi, ex lettori del pedagogico Giornalino e poi per sempre medaglie d’oro alla memoria.
Buon vecchio pipistrello, il Pistelli e le sue citazioni allusive a grappolo, sembra sia stato il maestro di tutta l'intelligenza italiana di quei tempi là, e chi l'ebbe alle elementari e chi all'università: nessuno scampò: tutti andarono - convinti - alla guerra (la Grande Guerra). I contadini, i popolani, la gente del Quartiere, insomma quelli che non leggevano il Giornalino di Vamba (come i poco svegli che non hanno mai letto Linus, preferendogli Topolino) poi alla Guerra ci andarono comunque, ma a calci in culo.
Buon vecchio lucertolo, il Vamba, così scrive di lui l'Omero, nella pìstola LIX: "Se tu t'accosti a un gruppo di bambine, senti che anche loro parlano della guerra, ma la mescolano con mille argomenti molto panciafichisti... A proposito: solamente per avere inventata questa parola ti dovrebbero caro Vamba fare accademico della Crusca". Uno più, uno meno.
E quell’immagine incombente del buon prete dietro le spalle del ragazzino cattivo O.R. che assorto scrive la pìstola al Vamba (come si vede sulla copertina del libro, disegnata da Vittorio Corcos), oggi non sarebbe più editabile: pedofilo docet? Eppure il Serra scrive: “il mezzo secolo che va dal Giornalino di Gian Burrasca (l' opera più celebre di Vamba) alla comparsa della televisione fu assai più breve del mezzo secolo che va da Giovanna la nonna del corsaro nero ai reality show, al wrestling, a M-tv. Come dire che due guerre mondiali, il fascismo, la rivoluzione russa, hanno potuto incidere sui costumi e sulle attitudini dell' Occidente assai meno di quanto sono riusciti a fare il consumismo e la società dello spettacolo.” E poi conclude tutto contento con una “buona notizia”, una buona novella, che ancora esiste una pedagogia, in queste storie in carta e in digitale, infatti, se ieri il cognato socialista di Gianburrasca si sposava in chiesa di nascosto, oggi Bart Simpson potrebbe guardarsi le spalle nell'entrare in una chiesa cattolica. Eppure io ci vedo sempre codesto prete sorridente, appostato come un grosso grillo saggio, alle spalle del ragazzino cattivo, sempre lì che batte sull'incudine. Sempre questa coscienza deformata nella forgia oggi del marketing ieri delle ideologie e sempre con modello un Bene a lunga scadenza... già, come il latte parmalat.
Scusate, ma io preferisco Calvin & Hobbes.
E poi, una così lampante illuminante folgorante evoluzione nei costumi in Italia, boh... mica la vedo, basta guardare Striscia la notizia con uno dei tanti servizi sui canili-lager.
E il gatto o il cane o il diversamente abile vengono sempre allegramente spennellati sulla schiena con vernice verde da persiana e messi su youtube da simpatiche canaglie.
Se un cuore intatto e una coscienza deformata entrano in conflitto allora la coscienza viene sconfitta (Mark Twain).
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mercoledì 28 aprile 2010
lunedì 19 aprile 2010
Assurdo diario di mago Merlino
Siamo turisti in giro per le strade di una magica città; una città che alterna larghe e lunghe vie, come magliette a trippa di gatto, a strette e contorte viuzze, viottole, e antichi palazzi non finiti a condomini di cinque e sei e trentasei piani, polverosi musei e tronfie gallerie a botteghe di cianciafruscole sparpagliate sul marciapiede. All’orizzonte le torri rosse delle officine si stagliano nel blu del cielo estivo. Sulla strada si affacciano banche e banchi di ortolani, grassi pizzicagnoli e ombrosi fornai, librerie antiquarie e straccivendoli, enigmatiche insegne, pizzerie da asporto, mestiche e mesticherie. Tiriamo fuori la nostra magica macchina digitale e cominciamo a scattare istantanee: ad una fontanella secca posta sul canto di una stradina che s’affina nell’ombra fresca e umida; ad un monumento equestre pazientemente zebrato da generazioni di piccioni stanziali; ad un portico in prospettiva (luci e ombre, ombre e luci); ad un pittoresco muro crostoso e ammuffito che ci nasconde la vista di un silente giardino di periferia; alle nuvole che si dipanano lente in alto nel cielo blu.
È una sera d’estate. Dall’ombra profonda e blu planano, sopra le nostre teste, le misteriose parole quotidiane, e suoni di piatti e di posate, Chopin su un Yamaha B3 scherza e ride con un Hendrix digitale, e uno isterico speaker divide e impera sui fatti del giorno quasi andato, Filippo ha le placche in gola. In strada, all’ombra di un albero, sonnecchia indifferente un gatto soriano. Filippo ha le placche in gola, e allora? e con questo? embè? E dove, dove sta Zaza? Un cane boxer maschio si accuccia per urinare l’orina accumulata in un pomeriggio di tedio e noia, prima guarda assorto all'orizzonte poi lancia un'occhiata al padrone che gli dice, bravo, bravo, bravo, è che non ha ancora imparato che deve alzare la zampa se vuole segnare il territorio. E una ragazza ci passa accanto, Tutte le kose k hai detto sn vere sekondo me, ma non lo dice a noi, che siamo solo turisti in giro per le strade di questa magica città, ecc. E le ombre della sera si allungano e sembrano ghignanti demoni etruschi, ci circondano e ci proteggono, e anche a noi si allungano le gambe e sembriamo tanti ragni in giro per le strade di questa magica città, ecc. Coloriamo le strade di un assurdo blu oltremare.
Il demone etrusco avvolge le nere e membranose ali in posizione di riposo e ci squittisce come un topo nelle orecchie; chiediamo a Renzo Tramaglino di tradurre i versi del demone, dice, è ora di porre immediatamente alla guida la domanda che avete pensato e sognato stanotte: ma ‘sta città immortale è una wunderkammer, cioè un labirinto, o è un frattale? E se è una wunderkammer, allora dove dov’è la via di fuga? (se la storia della Vita è un database di storie Grandi e piccine, ed ogni singola storia è un elenco di mosse e contromosse sulla scacchiera del Mondo, e le cui azioni e reazioni non sono mai isolate ma sempre vincolate ad altre mosse e contromosse di storie passate, presenti e future, allora questo presente esiste solo se è esistito il passato, e solo se è possibile raccontare il passato, con un tempo imperfetto? solo se è possibile immaginare un futuro).
Ma noi manco ascoltiamo la risposta della barbarica guida con la patata in bocca, che si sta pure incartando nel tentativo di meravigliarci con la Visione di una rovina etruscogrecoromanapisciosa in controluce e nella luce di aprile, manco morti, piuttosto ci guardiamo attorno, alla ricerca di un bestiario, di un bestio, di uno zoo alieno, alé ecco sotto l’albero un opportunista gatto, soriano. Che fa testo? chiediamo al demone etrusco con nere ali, di pipistrello. Ratto e brusco ci risponde, e che sono io mago Merlino?
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È una sera d’estate. Dall’ombra profonda e blu planano, sopra le nostre teste, le misteriose parole quotidiane, e suoni di piatti e di posate, Chopin su un Yamaha B3 scherza e ride con un Hendrix digitale, e uno isterico speaker divide e impera sui fatti del giorno quasi andato, Filippo ha le placche in gola. In strada, all’ombra di un albero, sonnecchia indifferente un gatto soriano. Filippo ha le placche in gola, e allora? e con questo? embè? E dove, dove sta Zaza? Un cane boxer maschio si accuccia per urinare l’orina accumulata in un pomeriggio di tedio e noia, prima guarda assorto all'orizzonte poi lancia un'occhiata al padrone che gli dice, bravo, bravo, bravo, è che non ha ancora imparato che deve alzare la zampa se vuole segnare il territorio. E una ragazza ci passa accanto, Tutte le kose k hai detto sn vere sekondo me, ma non lo dice a noi, che siamo solo turisti in giro per le strade di questa magica città, ecc. E le ombre della sera si allungano e sembrano ghignanti demoni etruschi, ci circondano e ci proteggono, e anche a noi si allungano le gambe e sembriamo tanti ragni in giro per le strade di questa magica città, ecc. Coloriamo le strade di un assurdo blu oltremare.
Il demone etrusco avvolge le nere e membranose ali in posizione di riposo e ci squittisce come un topo nelle orecchie; chiediamo a Renzo Tramaglino di tradurre i versi del demone, dice, è ora di porre immediatamente alla guida la domanda che avete pensato e sognato stanotte: ma ‘sta città immortale è una wunderkammer, cioè un labirinto, o è un frattale? E se è una wunderkammer, allora dove dov’è la via di fuga? (se la storia della Vita è un database di storie Grandi e piccine, ed ogni singola storia è un elenco di mosse e contromosse sulla scacchiera del Mondo, e le cui azioni e reazioni non sono mai isolate ma sempre vincolate ad altre mosse e contromosse di storie passate, presenti e future, allora questo presente esiste solo se è esistito il passato, e solo se è possibile raccontare il passato, con un tempo imperfetto? solo se è possibile immaginare un futuro).
Ma noi manco ascoltiamo la risposta della barbarica guida con la patata in bocca, che si sta pure incartando nel tentativo di meravigliarci con la Visione di una rovina etruscogrecoromanapisciosa in controluce e nella luce di aprile, manco morti, piuttosto ci guardiamo attorno, alla ricerca di un bestiario, di un bestio, di uno zoo alieno, alé ecco sotto l’albero un opportunista gatto, soriano. Che fa testo? chiediamo al demone etrusco con nere ali, di pipistrello. Ratto e brusco ci risponde, e che sono io mago Merlino?
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martedì 13 aprile 2010
Con quello sguardo neghittoso negli occhi
Con quello sguardo neghittoso negli occhi,
Odx sospeso per sette (7) giorni
Odx sospeso per sette (7) giorni
salta la palizzata a ore undici e scivola su laccature ematiche pavimentose,
mi dice, tra congiuntivi e congiuntive,
io spero che me la cavo.
pkTEX
Texture: O-11 su texture A-c (zoom=21, punti=500)
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mi dice, tra congiuntivi e congiuntive,
io spero che me la cavo.
pkTEX
Texture: O-11 su texture A-c (zoom=21, punti=500)
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martedì 6 aprile 2010
Festa del grillo
Come corre il tempo, ieri era appena Pasqua con la colombina e l’ovetto kinder di cioccolato (ché l'estate batte alle porte), è oggi mancano meno di 40 giorni alla festa del grillo alle Cascine.
Esiste ancora una minoranza di alieni interessati solo all’arte e alle tradizioni popolari? Un tempo c’era sempre qualche alieno in giro per gli Uffizi, su e giù per il Ponte Vecchio, per via Tornabuoni, per Corso Tintori, per via degli Avelli, in giro ad assistere a qualche genuina manifestazione cittadina che si perdeva nella notte dei tempi, per esempio la festa del grillo.
I babbi etruschi già nel 59 a.C. cacciavano i grilli nel prato delle Cascine, e dopo averli chiusi in gabbiette li recavano in dono ai bimbi. Ritornavano dalla polvere, i bimbi, e uscivano dalle urne di pozzolana per ascoltare il cri-cri del grillo. Un’antica consuetudine, più forte della Costituzione Leopoldina, più antica del cucco, più magica di un incantesimo di mago Merlino, esigeva che il ragazzino buono, allo scoccare della mezzanotte, liberasse il povero grillino nei verdi prati delle Cascine, o nel giardinetto di fronte casa, o sulle piastrelle in cotto dell’Impruneta del terrazzino di pozzolana, o nel secchio marrone della spazzatura organica, cri-cri, ringraziava il grillino riconoscente, con la lacrima al ciglio. Allo scoccare della mezzanotte in punto il ragazzino cattivo aveva da un pezzo schiacciato il grillo sotto il tacco, cri-cri-krok! Libero, tutta la notte, di giocare con la playstation in travertino, o manducare gelati all’Etruscheria.
Con il passare degli anni, impoverendosi i polverosi prati cittadini di grilli e allargandosi le cinte della città e delle brache bianche dei babbi romani e tardomedievali (quest'ultimi nerovestiti e con gli occhi bianchi), svegli commercianti in lenticchie di vetro s’inventarono un mestiere: cacciatori di grilli sul monte Cantagrilli; li vendevano sfusi o in gabbietta per la gioia dei bimbi, ferocemente selettivi nello scegliere il sesso del grillo, rigorosamente maschile, e la lunghezza spropositata delle antenne. Era capitato più di una volta che un alieno grilloforme del sistema di Saiph fosse catturato sul monte Cantagrilli, ingabbiato e venduto come uno schiavo babilonese in catene al mercatino del martedì alle Cascine. Non in grado, l’alieno, di evocare il tipico suono benaugurale, come i suoi morfologici compagni di sventura, trascorreva in ambasce e angosce (con le galosce?) la nottata, tra scuotimenti e sbatacchiamenti alla casetta-gabbietta; ma non era solo - purtroppo - accanto c’era il suo Carma, che vegliava e studiava, studiava e sudava tra telescopio, alambicchi e antichi trattati di magia, chiromanzia, alchimia, egittologia ermetica, settimana enigmistica. Studiava, il signor Carma, se liberare l’alieno-grillo alle Cascine, nel giardinetto di fronte casa, sulle mattonelle in cotto dell’Impruneta, nel secchio marrone della spazzatura organica, o mandarlo al tacchificio.
Quello del grillaio, era un mestiere tramandato con orgoglio di padre in figlio. Un mestiere di cui Firenze era famosa nel mondo, ma un triste giorno del 1999 un assessore comunale, malato di “fondamentalismo animalista, malpancista e smanioso di liberare il mondo tutto e subito” (*), decise di cancellare, vietando il mercato dei grilli, con la motivazione di crudeltà mentale nei confronti dell’insetto (i grilli furono sostituiti da simulacri in ceramica, sonori o muti).
Nessuno sa con precisione cosa ci poteva vedere un alieno pipistrelliforme di Rigel nel Tondo Doni di Michelangelo (e neppure Stendhal), o in un tondone di farina gialla, e che dire della festa della rificolona e della cantonata presa dall’alieno pidocchioforme del sistema di Aldebaran? La mia la ci ha i fiocchi, ma la tua la ci ha i pidocchi, cantavano i ragazzini in strada, e l’alieno pidocchioforme, tornato a casa, elogiava la meravigliosa esterofilia dei ragazzini fiorentini, in una lettera al direttore del Giornale di Aldebaran.
Esistevano cunicoli spazio-temporali che si aprivano nella Firenze della rivolta dei Ciompi, nella città rinascimentale immortalata nella Vita del Cellini, cunicoli che permettevano agli alieni di imbattersi in Leonardo da Vinci che piega un ferro di cavallo con le mani; osservare di nascosto Masaccio – maglione a girocollo e berretto col ponpon – dipingere la "Cacciata dal Paradiso", con Masolino, vestito e calzato tutto di verde ramarro, nascosto in un angolo della Cappella Brancacci, che mugugna che è tutto sbagliato che è tutto da rifare. Cunicoli che permettevano di calpestare le strade di fango di un villaggio, in località Rifredi, nell’anno 1002, e incespicare in una gallina dal feroce occhio inquisitore d’ispettore generale, urtare con il ginocchio il groppone di un inquieto, malpancista maialino bianco e nero, alla ricerca di una patata fondamentalista, al di là delle Colonne d’Ercole. Assistere al falò delle vanità, erano bruciati quadri, libri, vesti, mobili intarsiati in scagliola, i panni e i cenci dei partecipanti del Grande Fratello e i partecipanti dell’Isola dei Famosi. Arrostire un Eusthenopteron sulla spiaggia di Monte Morello davanti a un mare cambriano, dalle acque trasparenti come una lastra di cristallo. Uscir di casa da un portone e sbucare nell’anno 1870, al limitare estremo del parco delle Cascine, dove il torrente Mugnone incontra l’Arno, e assistere, in prima fila tra le autorità cittadine, al rogo di Rajaram Cuttraputti, marajà di Kolepoor, che di ritorno da un viaggio turistico in Inghilterra morì a Firenze, e secondo il rito braminico fu arso alla confluenza dei due fiumi (ok, uno è un torrente, e l’altro finge di essere un fiume).
(*) Così ho letto su un blog tempo fa. Qualche esempio di fondamentalismo animalista, dal regolamento comunale sulla tutela degli animali: E’ vietato mettere in atto qualsiasi maltrattamento o comportamento lesivo nei confronti degli animali; E’ vietato tenere gli animali in spazi angusti e/o privi dell’acqua e del cibo necessario o sottoporli a rigori climatici tali da nuocere alla loro salute; E’ vietato tenere animali in isolamento e/o condizioni di impossibile controllo quotidiano del loro stato di salute o privarli dei necessari contatti sociali tipici della loro specie; E’ vietato tenere animali in terrazze o balconi per più di otto ore giornaliere, isolarli in rimesse o cantine oppure segregarli in contenitori o scatole, anche se poste all’interno dell’appartamento; ecc.
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Esiste ancora una minoranza di alieni interessati solo all’arte e alle tradizioni popolari? Un tempo c’era sempre qualche alieno in giro per gli Uffizi, su e giù per il Ponte Vecchio, per via Tornabuoni, per Corso Tintori, per via degli Avelli, in giro ad assistere a qualche genuina manifestazione cittadina che si perdeva nella notte dei tempi, per esempio la festa del grillo.
I babbi etruschi già nel 59 a.C. cacciavano i grilli nel prato delle Cascine, e dopo averli chiusi in gabbiette li recavano in dono ai bimbi. Ritornavano dalla polvere, i bimbi, e uscivano dalle urne di pozzolana per ascoltare il cri-cri del grillo. Un’antica consuetudine, più forte della Costituzione Leopoldina, più antica del cucco, più magica di un incantesimo di mago Merlino, esigeva che il ragazzino buono, allo scoccare della mezzanotte, liberasse il povero grillino nei verdi prati delle Cascine, o nel giardinetto di fronte casa, o sulle piastrelle in cotto dell’Impruneta del terrazzino di pozzolana, o nel secchio marrone della spazzatura organica, cri-cri, ringraziava il grillino riconoscente, con la lacrima al ciglio. Allo scoccare della mezzanotte in punto il ragazzino cattivo aveva da un pezzo schiacciato il grillo sotto il tacco, cri-cri-krok! Libero, tutta la notte, di giocare con la playstation in travertino, o manducare gelati all’Etruscheria.
Con il passare degli anni, impoverendosi i polverosi prati cittadini di grilli e allargandosi le cinte della città e delle brache bianche dei babbi romani e tardomedievali (quest'ultimi nerovestiti e con gli occhi bianchi), svegli commercianti in lenticchie di vetro s’inventarono un mestiere: cacciatori di grilli sul monte Cantagrilli; li vendevano sfusi o in gabbietta per la gioia dei bimbi, ferocemente selettivi nello scegliere il sesso del grillo, rigorosamente maschile, e la lunghezza spropositata delle antenne. Era capitato più di una volta che un alieno grilloforme del sistema di Saiph fosse catturato sul monte Cantagrilli, ingabbiato e venduto come uno schiavo babilonese in catene al mercatino del martedì alle Cascine. Non in grado, l’alieno, di evocare il tipico suono benaugurale, come i suoi morfologici compagni di sventura, trascorreva in ambasce e angosce (con le galosce?) la nottata, tra scuotimenti e sbatacchiamenti alla casetta-gabbietta; ma non era solo - purtroppo - accanto c’era il suo Carma, che vegliava e studiava, studiava e sudava tra telescopio, alambicchi e antichi trattati di magia, chiromanzia, alchimia, egittologia ermetica, settimana enigmistica. Studiava, il signor Carma, se liberare l’alieno-grillo alle Cascine, nel giardinetto di fronte casa, sulle mattonelle in cotto dell’Impruneta, nel secchio marrone della spazzatura organica, o mandarlo al tacchificio.
Quello del grillaio, era un mestiere tramandato con orgoglio di padre in figlio. Un mestiere di cui Firenze era famosa nel mondo, ma un triste giorno del 1999 un assessore comunale, malato di “fondamentalismo animalista, malpancista e smanioso di liberare il mondo tutto e subito” (*), decise di cancellare, vietando il mercato dei grilli, con la motivazione di crudeltà mentale nei confronti dell’insetto (i grilli furono sostituiti da simulacri in ceramica, sonori o muti).
Nessuno sa con precisione cosa ci poteva vedere un alieno pipistrelliforme di Rigel nel Tondo Doni di Michelangelo (e neppure Stendhal), o in un tondone di farina gialla, e che dire della festa della rificolona e della cantonata presa dall’alieno pidocchioforme del sistema di Aldebaran? La mia la ci ha i fiocchi, ma la tua la ci ha i pidocchi, cantavano i ragazzini in strada, e l’alieno pidocchioforme, tornato a casa, elogiava la meravigliosa esterofilia dei ragazzini fiorentini, in una lettera al direttore del Giornale di Aldebaran.
Esistevano cunicoli spazio-temporali che si aprivano nella Firenze della rivolta dei Ciompi, nella città rinascimentale immortalata nella Vita del Cellini, cunicoli che permettevano agli alieni di imbattersi in Leonardo da Vinci che piega un ferro di cavallo con le mani; osservare di nascosto Masaccio – maglione a girocollo e berretto col ponpon – dipingere la "Cacciata dal Paradiso", con Masolino, vestito e calzato tutto di verde ramarro, nascosto in un angolo della Cappella Brancacci, che mugugna che è tutto sbagliato che è tutto da rifare. Cunicoli che permettevano di calpestare le strade di fango di un villaggio, in località Rifredi, nell’anno 1002, e incespicare in una gallina dal feroce occhio inquisitore d’ispettore generale, urtare con il ginocchio il groppone di un inquieto, malpancista maialino bianco e nero, alla ricerca di una patata fondamentalista, al di là delle Colonne d’Ercole. Assistere al falò delle vanità, erano bruciati quadri, libri, vesti, mobili intarsiati in scagliola, i panni e i cenci dei partecipanti del Grande Fratello e i partecipanti dell’Isola dei Famosi. Arrostire un Eusthenopteron sulla spiaggia di Monte Morello davanti a un mare cambriano, dalle acque trasparenti come una lastra di cristallo. Uscir di casa da un portone e sbucare nell’anno 1870, al limitare estremo del parco delle Cascine, dove il torrente Mugnone incontra l’Arno, e assistere, in prima fila tra le autorità cittadine, al rogo di Rajaram Cuttraputti, marajà di Kolepoor, che di ritorno da un viaggio turistico in Inghilterra morì a Firenze, e secondo il rito braminico fu arso alla confluenza dei due fiumi (ok, uno è un torrente, e l’altro finge di essere un fiume).
(*) Così ho letto su un blog tempo fa. Qualche esempio di fondamentalismo animalista, dal regolamento comunale sulla tutela degli animali: E’ vietato mettere in atto qualsiasi maltrattamento o comportamento lesivo nei confronti degli animali; E’ vietato tenere gli animali in spazi angusti e/o privi dell’acqua e del cibo necessario o sottoporli a rigori climatici tali da nuocere alla loro salute; E’ vietato tenere animali in isolamento e/o condizioni di impossibile controllo quotidiano del loro stato di salute o privarli dei necessari contatti sociali tipici della loro specie; E’ vietato tenere animali in terrazze o balconi per più di otto ore giornaliere, isolarli in rimesse o cantine oppure segregarli in contenitori o scatole, anche se poste all’interno dell’appartamento; ecc.
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lunedì 5 aprile 2010
Mattina di pasquetta
Mattina di pasquetta, sta spiovendo; ma la mattina di pasquetta sono aperti i barbieri? (di sicuro sono chiusi i bar).
PkJuM 5
Parametri:
(Insieme di Julia di z^2+c)
steps=100
3 colori (ff0000, 0000ff, e7e7e7)
PkJuM 5
Parametri:
(Insieme di Julia di z^2+c)
steps=100
3 colori (ff0000, 0000ff, e7e7e7)
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Sera di Pasqua
sabato 3 aprile 2010
Oltre Silvio
Un link per ricordarci, non tanto dove avete parcheggiato, ma che - a parte Silvio & Santoro -esistono ancora i piani regolatori delle città e l'arte.
E le due cose dovrebbero coincidere (cioè non Silvio & Santoro, ma le ultime due che ho scritto).
E le due cose dovrebbero coincidere (cioè non Silvio & Santoro, ma le ultime due che ho scritto).
Riflessioni davanti a una finestra senza vetri
La ricerca in Internet è spesso incerta perché in certi casi è veramente difficile (se non impossibile) ottenere un’informazione in un tempo umano. Ecco un esempio. Nella Cappella Brancacci della Chiesa del Carmine a Firenze è presente in un affresco, dipinto da Masolino (1383-1440), raffigurante un episodio degli atti degli apostoli, una veduta urbana presa dalla vita quotidiana con uno strano particolare di cui dirò più in là. Questa veduta cittadina è attribuita al pittore Masaccio (1401-1428), ed è probabilmente la prima visione realistica di un paesaggio urbano nella storia dell’arte occidentale, anche se «sarebbe impossibile (e arbitrario) procedere ad una precisa localizzazione, nella Firenze dell’epoca, di questa fila di case alte, tetre, addossate l’una all’altra, con le finestre aperte sull’oscurità degli interni e i panni messi a prender aria sui davanzali, di queste viuzze soffocate dai ballatoi». (1)
I palazzi cittadini, nella Firenze a cavallo tra il XIII e il XIV secolo, sono in genere alti tre piani (piano terreno, più due piani). Il piano terreno è destinato ai servizi, e prende luce dall’esterno tramite piccole e rade finestrelle difese da robuste inferriate; il primo piano è il piano nobile, abitato dalla famiglia; il secondo piano è costituito da ambienti meno frequentati, ad esempio camere per ragazzi e alloggi per domestici. Le finestre sono generalmente chiuse da due robuste imposte di legno (gli usci) che ruotavano verso l’interno. Talvolta, nelle case dei ricchi o almeno dei benestanti, oltre alle imposte, c’erano le «impannate», cioè «pezze di tela leggera cerata e oliata e fissata con bullette a telai di legno […]. Per solito si lasciava alle impannate la tinta naturale, il bianco; ma ve n’erano anche di dipinte» (2). L’impiego di lastre di vetro per le finestre era invece molto raro in Italia, ancora nel corso del Cinquecento.
Se osserviamo con attenzione le case dipinte da Masaccio nell’affresco del Carmine, oltre alla fedele rappresentazione visiva di quanto sopra riportato, abbiamo un’ulteriore prova dello straordinario realismo del pittore: all’ultimo piano della casa, situata quasi al centro dell’affresco, è dipinto, sopra la cornice marcapiano, uno strano animaletto, legato ad una catenella; cos’è? Sappiamo che «agli arpioni da stanghe, o alle stanghe stesse [delle case], venivano attaccati al guinzaglio certi animali domestici, come cani e bertucce, lasciati a prendere aria sui davanzali delle finestre» (3).
Dunque è un cane o una scimmietta, forse il compagno di giochi di un ragazzo, che abitava quella camera all’ultimo piano, intorno alla metà del terzo decennio del Quattrocento.
Vi sfido a cercare su Google questa informazione, senza però descrivere – con precisione - lo strano animaletto dipinto: l’impresa sarà vana come cercare uno stuzzicadenti in un raduno di formichieri. E forse l’informazione è presente in Internet: due passi più in là, appena girato l’angolo. (*)
Qualche riflessione finale. Nella Firenze del Quattrocento solo i benestanti si potevano permettere le pezze di tela alle finestre, i ricchi (i vari strozzi, medici e bischeri assortiti) addirittura i vetri (però con le bolle d’aria), mentre i poveri andavano in giro - allora - con le pezze al culo.
E che dire della miope riservatezza dei fiorentini? Forse è un carattere genetico recessivo collegato - appunto - alla miopia; vedi il condomino di casa, miope e tignoso, aprire gli scuri e con ancora la cispa agli occhi salutare una mattina di aprile del 1416 (mentre inzuppa un Buondì classico nel cappuccino), restando però nel dubbio se rispondere al saluto del coso peloso sul davanzale: è il figlio del vicino o la sua scimmia al guinzaglio?
(*) Claudio Piccini, Opus incerta, Lampi di stampa, 2007
(1) Federico Zeri, La percezione visiva dell’Italia e degli italiani, Einaudi, 1989, p. 6.
(2) Giovanni Fanelli, Firenze architettura e città, Vallecchi, 1973, pp. 152-153.
(3) Giovanni Fanelli, Op. cit., p. 154.
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I palazzi cittadini, nella Firenze a cavallo tra il XIII e il XIV secolo, sono in genere alti tre piani (piano terreno, più due piani). Il piano terreno è destinato ai servizi, e prende luce dall’esterno tramite piccole e rade finestrelle difese da robuste inferriate; il primo piano è il piano nobile, abitato dalla famiglia; il secondo piano è costituito da ambienti meno frequentati, ad esempio camere per ragazzi e alloggi per domestici. Le finestre sono generalmente chiuse da due robuste imposte di legno (gli usci) che ruotavano verso l’interno. Talvolta, nelle case dei ricchi o almeno dei benestanti, oltre alle imposte, c’erano le «impannate», cioè «pezze di tela leggera cerata e oliata e fissata con bullette a telai di legno […]. Per solito si lasciava alle impannate la tinta naturale, il bianco; ma ve n’erano anche di dipinte» (2). L’impiego di lastre di vetro per le finestre era invece molto raro in Italia, ancora nel corso del Cinquecento.
Se osserviamo con attenzione le case dipinte da Masaccio nell’affresco del Carmine, oltre alla fedele rappresentazione visiva di quanto sopra riportato, abbiamo un’ulteriore prova dello straordinario realismo del pittore: all’ultimo piano della casa, situata quasi al centro dell’affresco, è dipinto, sopra la cornice marcapiano, uno strano animaletto, legato ad una catenella; cos’è? Sappiamo che «agli arpioni da stanghe, o alle stanghe stesse [delle case], venivano attaccati al guinzaglio certi animali domestici, come cani e bertucce, lasciati a prendere aria sui davanzali delle finestre» (3).
Dunque è un cane o una scimmietta, forse il compagno di giochi di un ragazzo, che abitava quella camera all’ultimo piano, intorno alla metà del terzo decennio del Quattrocento.
Vi sfido a cercare su Google questa informazione, senza però descrivere – con precisione - lo strano animaletto dipinto: l’impresa sarà vana come cercare uno stuzzicadenti in un raduno di formichieri. E forse l’informazione è presente in Internet: due passi più in là, appena girato l’angolo. (*)
Qualche riflessione finale. Nella Firenze del Quattrocento solo i benestanti si potevano permettere le pezze di tela alle finestre, i ricchi (i vari strozzi, medici e bischeri assortiti) addirittura i vetri (però con le bolle d’aria), mentre i poveri andavano in giro - allora - con le pezze al culo.
E che dire della miope riservatezza dei fiorentini? Forse è un carattere genetico recessivo collegato - appunto - alla miopia; vedi il condomino di casa, miope e tignoso, aprire gli scuri e con ancora la cispa agli occhi salutare una mattina di aprile del 1416 (mentre inzuppa un Buondì classico nel cappuccino), restando però nel dubbio se rispondere al saluto del coso peloso sul davanzale: è il figlio del vicino o la sua scimmia al guinzaglio?
(*) Claudio Piccini, Opus incerta, Lampi di stampa, 2007
(1) Federico Zeri, La percezione visiva dell’Italia e degli italiani, Einaudi, 1989, p. 6.
(2) Giovanni Fanelli, Firenze architettura e città, Vallecchi, 1973, pp. 152-153.
(3) Giovanni Fanelli, Op. cit., p. 154.
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giovedì 1 aprile 2010
Pesce d’Aprile a Firenze
Se un navigatore curioso, in prossimità del primo giorno di aprile, inserisse in un motore di ricerca le parole: indiano cremazione firenze +1878, forse otterrebbe un elenco di pagine riportanti il seguente raccontino sull’origine del Pesce d’Aprile.
Nel 1878 un giornale italiano annunciò la cremazione all’aperto, in una piazza di Firenze nei pressi del Parco delle Cascine, di un marajà indiano. La cremazione sarebbe dovuta avvenire il primo giorno di aprile. Molti fiorentini accorsero al parco delle Cascine per assistere all’evento, portandosi dietro anche il gatto e la nonna in carrozzina, ma quando, dopo una lunga e vana attesa, un gruppo di ragazzini sbucò da dietro un cespuglio gridando, Pesci d'Arno fritti!, improvvisamente i fiorentini si tirarono su dall’erba scuotendosi di dosso le briciole dei panini al lampredotto e richiamarono i bambini spersi nel vasto prato, Telemachino, Amletino, Nestorino, Annibalino, Barabbino, vien via vien via che si va via e fa freddo, tira vento, piove e c’è il sole, c'è il sole e piove, o i che è, ecc. insomma il babbo di turno faceva finta di nulla, per non passar da grullo.
Il navigatore riflessivo penserà che non è mai stato bruciato un indiano a Firenze, che vergogna… Ma se spingiamo la nostra ricerca, oltre la prima pagina di pagine suggerite da Google, approderemo a pagine forse più attendibili, purtroppo nascoste tra l’erbaccia delle informazioni ridondanti sul Pesce d’Aprile. Là apprenderemo che verso la fine del marzo 1878 apparve su un quotidiano fiorentino la notizia che il primo d’aprile la cittadinanza tutta avrebbe potuto assistere, nel parco delle Cascine, alla cremazione di un principe indiano morto in quella città pochi giorni prima. E giacché un evento simile era realmente accaduto nel 1870, molti lettori non ebbero dubbi sulla veridicità della notizia, insomma erano passati solo otto anni mica cinquecento. E la notizia passò di bocca in bocca, e una gran folla di boccaloni si riunì speranzosa, peraltro priva di cellulari e di macchine fotografiche digitali, proprio nel punto dove avrebbe dovuto svolgersi la curiosa cerimonia, dove avrebbero dovuto bruciare un secondo indiano. Da lì la storia vera si incolla alla storia falsa, infatti, sbucarono di corsa dalle frasche tre o quattro ragazzini neri e maledetti gridando, Pesci d’Arno fritti, be' per loro non era mica uno scherzo, facevano la reclame ambulante di un friggitore che aveva aperto il baracchino da poco, il friggitore vendeva appunto pesci d’Arno fritti, e anche ranocchi fritti se è per questo e guarda un po’ pure i panini col lampredotto. E allora come avranno fatto i fiorentini a capire che era uno scherzo? (probabilmente molti fiorentini tornarono a casa per la cena con un cartoccio di pesci e di ranocchi fritti)... no, non ci voglio pensare, ma ora che ci penso mica sarà stata un'abile mossa di marketing del venditore di ranocchi fritti?
Dunque, dunque perché uno scherzo sia creduto vero deve essere edificato su un fondamento di verità, cioè su una storia vera. (*) Un po’ come la notizia che l'ex presidente onorario della Fiorentina ha lasciato la presidenza onoraria della Fiorentina, tutti hanno creduto vera la notizia (peraltro vera), molti tifosi del gioco del pallone hanno pianto amaramente pensando al tempo in cui - dolore chiama dolore - i Medici si tolsero dalle palle lasciando in eredità, un po’ qui un po’ là, i loro stemmi araldici gratis, con le tre palle e un soldo.
(*) “Al limite estremo del parco delle Cascine, si giunge al piazzaletto dell’Indiano, pittoresco spazio articolato sulla conoide alla confluenza del torrente Mugnone nell’Arno; vi si dispongono, attorniati da leggiadri elementi di arredo, la casetta e il monumento funebre dell’Indiano, composto da un busto protetto da una cupola a pagoda, opera di Charles Francis Fuller (1874); il luogo è dedicato a Rajaram Cuttraputti marajà di Kolepoor, che di ritorno dall’Inghilterra morì ventenne a Firenze nel 1870 e secondo il rito braminico fu cremato alla confluenza di due fiumi”. Firenze e Provincia, Touring Club Italiano, 2005, p. 436.
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Nel 1878 un giornale italiano annunciò la cremazione all’aperto, in una piazza di Firenze nei pressi del Parco delle Cascine, di un marajà indiano. La cremazione sarebbe dovuta avvenire il primo giorno di aprile. Molti fiorentini accorsero al parco delle Cascine per assistere all’evento, portandosi dietro anche il gatto e la nonna in carrozzina, ma quando, dopo una lunga e vana attesa, un gruppo di ragazzini sbucò da dietro un cespuglio gridando, Pesci d'Arno fritti!, improvvisamente i fiorentini si tirarono su dall’erba scuotendosi di dosso le briciole dei panini al lampredotto e richiamarono i bambini spersi nel vasto prato, Telemachino, Amletino, Nestorino, Annibalino, Barabbino, vien via vien via che si va via e fa freddo, tira vento, piove e c’è il sole, c'è il sole e piove, o i che è, ecc. insomma il babbo di turno faceva finta di nulla, per non passar da grullo.
Il navigatore riflessivo penserà che non è mai stato bruciato un indiano a Firenze, che vergogna… Ma se spingiamo la nostra ricerca, oltre la prima pagina di pagine suggerite da Google, approderemo a pagine forse più attendibili, purtroppo nascoste tra l’erbaccia delle informazioni ridondanti sul Pesce d’Aprile. Là apprenderemo che verso la fine del marzo 1878 apparve su un quotidiano fiorentino la notizia che il primo d’aprile la cittadinanza tutta avrebbe potuto assistere, nel parco delle Cascine, alla cremazione di un principe indiano morto in quella città pochi giorni prima. E giacché un evento simile era realmente accaduto nel 1870, molti lettori non ebbero dubbi sulla veridicità della notizia, insomma erano passati solo otto anni mica cinquecento. E la notizia passò di bocca in bocca, e una gran folla di boccaloni si riunì speranzosa, peraltro priva di cellulari e di macchine fotografiche digitali, proprio nel punto dove avrebbe dovuto svolgersi la curiosa cerimonia, dove avrebbero dovuto bruciare un secondo indiano. Da lì la storia vera si incolla alla storia falsa, infatti, sbucarono di corsa dalle frasche tre o quattro ragazzini neri e maledetti gridando, Pesci d’Arno fritti, be' per loro non era mica uno scherzo, facevano la reclame ambulante di un friggitore che aveva aperto il baracchino da poco, il friggitore vendeva appunto pesci d’Arno fritti, e anche ranocchi fritti se è per questo e guarda un po’ pure i panini col lampredotto. E allora come avranno fatto i fiorentini a capire che era uno scherzo? (probabilmente molti fiorentini tornarono a casa per la cena con un cartoccio di pesci e di ranocchi fritti)... no, non ci voglio pensare, ma ora che ci penso mica sarà stata un'abile mossa di marketing del venditore di ranocchi fritti?
Dunque, dunque perché uno scherzo sia creduto vero deve essere edificato su un fondamento di verità, cioè su una storia vera. (*) Un po’ come la notizia che l'ex presidente onorario della Fiorentina ha lasciato la presidenza onoraria della Fiorentina, tutti hanno creduto vera la notizia (peraltro vera), molti tifosi del gioco del pallone hanno pianto amaramente pensando al tempo in cui - dolore chiama dolore - i Medici si tolsero dalle palle lasciando in eredità, un po’ qui un po’ là, i loro stemmi araldici gratis, con le tre palle e un soldo.
(*) “Al limite estremo del parco delle Cascine, si giunge al piazzaletto dell’Indiano, pittoresco spazio articolato sulla conoide alla confluenza del torrente Mugnone nell’Arno; vi si dispongono, attorniati da leggiadri elementi di arredo, la casetta e il monumento funebre dell’Indiano, composto da un busto protetto da una cupola a pagoda, opera di Charles Francis Fuller (1874); il luogo è dedicato a Rajaram Cuttraputti marajà di Kolepoor, che di ritorno dall’Inghilterra morì ventenne a Firenze nel 1870 e secondo il rito braminico fu cremato alla confluenza di due fiumi”. Firenze e Provincia, Touring Club Italiano, 2005, p. 436.
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American Land
What is this land America so many travel there
I'm going now while I'm still young my darling meet me there
Wish me luck my lovely I'll send for you when I can
And we'll make our home in the American land
Over there all the woman wear silk and satin to their knees
And children dear, the sweets, I hear, are growing on the trees
Gold comes rushing out the rivers straight into your hands
When you make your home in the American Land
There's diamonds in the sidewalk the's gutters lined in song
Dear I hear that beer flows through the faucets all night long
There's treasure for the taking, for any hard working man
Who will make his home in the American Land
I docked at Ellis Island in a city of light and spires
She met me in the valley of red-hot steel and fire
We made the steel that built the cities with our sweat and two hands
And we made our home in the American Land
There's diamonds in the sidewalk the's gutters lined in song
Dear I hear that beer flows through the faucets all night long
There's treasure for the taking, for any hard working man
Who will make his home in the American Land
The McNicholas, the Posalski's, the Smiths, Piccinis, too
The Blacks, the Irish, Italians, the Germans and the Jews
Come across the water a thousand miles from home
With nothin in their bellies but the fire down below
They died building the railroads worked to bones and skin
They died in the fields and factories names scattered in the wind
They died to get here a hundred years ago they're still dyin now
The hands that built the country were always trying to keep down
There's diamonds in the sidewalk the gutters lined in song
Dear I hear that beer flows through the faucets all night long
There's treasure for the taking, for any hard working man
Who will make his home in the American Land
Who will make his home in the American Land
Who will make his home in the American Land
I'm going now while I'm still young my darling meet me there
Wish me luck my lovely I'll send for you when I can
And we'll make our home in the American land
Over there all the woman wear silk and satin to their knees
And children dear, the sweets, I hear, are growing on the trees
Gold comes rushing out the rivers straight into your hands
When you make your home in the American Land
There's diamonds in the sidewalk the's gutters lined in song
Dear I hear that beer flows through the faucets all night long
There's treasure for the taking, for any hard working man
Who will make his home in the American Land
I docked at Ellis Island in a city of light and spires
She met me in the valley of red-hot steel and fire
We made the steel that built the cities with our sweat and two hands
And we made our home in the American Land
There's diamonds in the sidewalk the's gutters lined in song
Dear I hear that beer flows through the faucets all night long
There's treasure for the taking, for any hard working man
Who will make his home in the American Land
The McNicholas, the Posalski's, the Smiths, Piccinis, too
The Blacks, the Irish, Italians, the Germans and the Jews
Come across the water a thousand miles from home
With nothin in their bellies but the fire down below
They died building the railroads worked to bones and skin
They died in the fields and factories names scattered in the wind
They died to get here a hundred years ago they're still dyin now
The hands that built the country were always trying to keep down
There's diamonds in the sidewalk the gutters lined in song
Dear I hear that beer flows through the faucets all night long
There's treasure for the taking, for any hard working man
Who will make his home in the American Land
Who will make his home in the American Land
Who will make his home in the American Land
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