domenica 19 dicembre 2010

La Ghost Dance tra Pisa e Milano

America. Un pomeriggio di un mite ottobre dell’anno 1886. Sulla terra delle lunghe ombre e dei lunghi coltelli sono rimasti solo ragazzi e ragazze, coperti di leggere vesti estive, dipinte con i colori eterni del Pontormo. Vivono giorni gloriosi e felici, nuotano e ballano, giocano e ridono e amoreggiano tutto il dì, e quando viene la notte si nascondono, come bambini che hanno paura del buio, dentro una materna tenda del circo di Buffalo Bill.
Si definiscono Lakota, e sono vegetariani (ma non per libera scelta), anzi fruttivori, infatti, mangiano solo esotici frutti colorati con i colori del Rosso Fiorentino, e bevono pura acqua di fonte, in coppe di bianco vetro opaco. Ma, nonostante la dieta fruttivora e la fede assoluta in una massima pavesiana (Lavorare stanca) nessun Lakota, o quasi nessuno, arriva alla senilità, e perché? Oibò, è presto detto, perché tutt’attorno scavano, bazzicano e cercano un metallo giallo, dentro nere e oleose padelle, brutti mostri albini e pelosi. Sono chiamati (dai Lakota) Wasichu.
I Wasichu non sono vegetariani (ché sarebbe stato chiedere troppo alla Divina Provvidenza), anzi hanno appena accoppato e sbranato l’ultimo bisonte sacro ai Lakota. Sbranerebbero anche i Lakota se il prete di turno distogliesse lo sguardo quanto basta, solo quel tanto che basta per poterli sterminare tutti (che un indiano buono era un indiano morto).
Ma una banda di Lakota fu portata quell’anno dai Wasichu al di là dall’acqua grande su un battello di fuoco, fino ad una città immensa, ed era Londra. La Nonna preparò torte salate e crostate di albicocche per i ragazzi e le ragazze Lakota. La Nonna era piccola ma grassa, e piacque subito ai Lakota perché fu buona con loro. I Lakota danzarono in suo onore. E allora la Nonna disse qualcosa come: “Ho sessantasette anni. In tutto il mondo ho visto ogni specie di gente; ma oggi ho visto la più bella gente che conosco. Se voi apparteneste a me, non permetterei che vi portassero in giro in uno spettacolo come questo” (*)
Ma il circo prosegue il Grand Tour per le città d’Europa. Imprigionati in un incanto maligno i Lakota arrivano a Manchester e lì si smarriscono, in un bosco di strade e case di mattoni. Tre Lakota perdono così il battello di fuoco. Tornano a Londra, e come in sogno arrivano a Parigi. Una ragazza Wasichu si innamora di uno dei tre, lo porta a casa, gli fa conoscere il padre e la madre. La ragazza Wasichu imparò alcune parole in Lakota. Da Parigi i tre andarono in Germania, dalla Germania arrivarono in un luogo dove la terra bruciava da sempre (e nessuno sapeva come spengere il fuoco). “C’era un monte alto, che finiva a forma di tenda, e lassù bruciava. Sentii dire che molto tempo fa una grossa città e molte persone erano scomparse nella terra, in quel luogo.” (*)
In seguito i Lakota tornarono a casa, ma forse prima visitarono il Camposanto di Pisa. Sostarono come turisti qualsiasi davanti all’affresco con il Trionfo della Morte. Videro i tre stadi del corpo dopo la morte. Videro le danze macabre medioevali. Uno di loro sarà in futuro uno sciamano: vedrà l’inferno di neve a Wounded Knee. Le immagini dei morti danzanti erano il tributo che l’occidente cristiano pagava al Bodhisattva. I nove stadi di disfacimento del cadavere nel buddismo erano: (1) viso livido; (2) corpo gonfio; (3) corpo tumefatto; (4) corpo in putrefazione; (5) il corpo è preda dei vermi; (6) il corpo diventa verde, lo scheletro si vede è tinto di sangue; (7) scheletro in connessione anatomica; (8) ossa spezzate, sparse e in polvere; (9) solo una vecchia tomba in mezzo alla vegetazione, nient’altro che gocce di rugiada sull’erba.
Il settimo stadio è il rito di passaggio che deve affrontare lo sciamano del mondo orientale ed americano.
Dunque i Lakota tornarono a casa. E iniziarono subito a danzare per la rigenerazione del mondo, per la fine del mondo, per l’avvento di una nuova terra. Una danza che durava giorni e notti. Era la cosiddetta Ghost Dance Religion degli storici occidentali.


Pochi anni dopo, al di là dall'acqua grande, in una città chiamata Milano, i soldati spareranno con fucili e cannoni su una folla di quarantamila persone (in gran parte donne, vecchi e bambini): protestavano contro il raddoppio del prezzo del pane. Era un giorno di maggio dell'anno 1898.

(*) Alce Nero parla, J.G. Neihardt (Adelphi, 1983)
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