martedì 21 dicembre 2010

Follow that Dream

Una comitiva di turisti sosta ai margini di una magica città. È il tempo dei saluti. Tra scambi di cellulari, indirizzi, email, ricordi, il cuore è già sulla via di casa. In fondo siamo solo turisti.
Scarabocchiato sul margine di un foglio del taccuino di viaggio, resta un barlume di visione. Come se il viaggio potesse essere ripreso, dopo una breve pausa, il tempo di un caffè o di una stagione. Ma le prime gocce di un temporale ci bagnano la faccia, ci portano via quel barlume di visione, ci lasciano in cambio l’odore di terra bagnata.
Nuvole all’orizzonte (isole sconosciute) scivolano su e giù per le colline. Una nuvola bianca si guarda nello specchio oscuro della strada: sorride; dimentica.

A Firenze, fino alla fine dell’Ottocento alte muraglie, a volte formate dalle stesse case che si affacciavano sull’Arno, si ergevano lungo le sponde, e nascondevano alla vista il fiume e l’opposta parte della città; e da qui, forse, l’origine psicologica del termine Oltrarno, quasi a significare un altrove, un’altra città. Solo quando Firenze divenne capitale d’Italia, nel 1865, si formarono i lungarni attuali (anni settanta), che mutarono per sempre la visione di Firenze e il rapporto dei fiorentini con il fiume.
Solo pochi anni prima Mark Twain ammirava la vista dell’Arno dai ponti: "Ci piaceva fermarci sui ponti ad ammirar l’Arno. È un grande fiumiciattolo, intriso di storia, profondo quattro piedi e solcato da alcune chiatte che andavano su e giù. Potrebbe chiamarsi plausibilmente fiume se ci pompassero dentro l’acqua. Questi neri e maledetti fiorentini lo definiscono fiume, e pensano che lo sia davvero. Sostengono l’illusione costruendovi sopra ponti monumentali. Non capisco come non siano capaci di guardarlo con obiettività". E poi si perde per i vicoli del vecchio centro, e gira per la cittadina tutta una notte. Uno straniero in terra straniera. Alieno come l'indiano Lakota davanti all'affresco del Trionfo della Morte nel Camposanto di Pisa, qualche anno dopo.
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