venerdì 19 settembre 2008

Il Pianeta proibito


Dimenticato da chissà chi e chissà quando, sul fondo polveroso della cristalliera, c’era un vecchio numero di Urania (il numero 5, agosto 1977): Il Pianeta proibito di W.J. Stuart. Primo esempio di trasposizione letteraria di un’opera cinematografica, era stato scritto sulla sceneggiatura di Cyril Hume del film omonimo, prodotto dalla M.G.M e distribuito nel 1956, lo sceneggiatore si era ispirato a sua volta a un racconto di Irving Block e Allen Adler, libera interpretazione in chiave fantascientifica del dramma La Tempesta di William Shakespeare. Il libro (come il film) è ambientato nel XXIII secolo, e narra la storia della missione di salvataggio dell’astronave C-57D, diretta sul pianeta Altair IV, sul quale era approdata, venti anni prima, l’astronave Bellerofonte. Il pianeta è deserto, sconfinato, sembra privo di vita o quasi, gli unici esseri umani sono il professor Morbius e sua figlia Altaira. Morbius racconta al capitano dell’astronave la tragica sorte dei componenti del Bellerofonte straziati da una misteriosa forza naturale, e di come poté salvarsi grazie alla scoperta della tecnologia dei Krell, gli antichi abitanti del pianeta misteriosamente scomparsi, milioni di anni prima, nel giro di una notte. La tecnologia Krell era capace di generare l’energia sufficiente ai bisogni dell’intero pianeta con il solo aiuto del pensiero, amplificato da una Macchina. Sotto la superficie silenziosa del pianeta si estendeva per una profondità vertiginosa la Macchina silente e autistica, talvolta una spia si accendeva, la Macchina registrava il volo di un’ape attorno a un fiore, il lento dipanarsi delle nuvole nel cielo.
La Macchina era l’ultimo vestigio dell’antica civiltà dei Krell, delle città maestose con torri di metallo splendente non restava traccia sul suolo del pianeta, e non esistevano immagini dei Krell, si poteva fantasticare sul loro aspetto osservando la forma di una porta Krell.

Si pensi a un grande triangolo col vertice in alto ma i cui lati, prima di raggiungere la base, si pieghino anch’essi ad angolo e in maniera sghemba, verso la base stessa. Il vertice era circa a due metri da terra, e la larghezza massima del vano toccava i tre. (*)

Morbius si era sottoposto a una Macchina del Sostegno, capace di sviluppare le facoltà intellettive nei bambini Krell tardivi, ed era riuscito ad aumentare la sua intelligenza al punto di decifrare l’antica lingua dei Krell e a costruire un robot capace di sintetizzare qualsiasi sostanza, naturale o artificiale: dalla cioccolata fondente a quella al latte, dalla Coca-Cola alla Coca-Cola decaffeinata, dai pezzi di vetro ai diamanti naturali. Robby, così si chiamava il robot, dotato di una forza straordinaria, era vincolato a una legge che gli proibiva di nuocere agli esseri umani.
Le insistenze del capitano dell’astronave nel convincere Morbius a tornare sulla Terra fanno precipitare gli eventi. Una notte un misterioso essere invisibile visita l’interno dell’astronave e compie un atto di sabotaggio, il mattino dopo viene scoperta un’impronta della creatura dalla quale si ricava il calco in gesso. Il calco, che avrebbe colmato di mistica letizia il cuore del Fisiologo ma anche trafitto il fianco di Darwin con una nuova spina (dopo quella dell’occhio), provoca dubbi e perplessità nella mente del medico di bordo.
L’amore che si sviluppa tra il Capitano e Altaira pare misteriosamente potenziare l’aggressività della creatura. Gli attacchi alla nave si susseguono, sempre più violenti e rabbiosi. Finalmente, dopo un ultimo attacco alla nave la creatura sceglie di colpire il bersaglio grosso, la casa di Morbius, dove si sono asserragliati, insieme al professore, il Capitano e Altaira, che si è decisa a lasciare il pianeta per seguire il Bel Capitano. Robby, l’unica difesa attiva contro la creatura, misteriosamente si rifiuta di attaccarla e si disattiva. I tre si rifugiano nel laboratorio, difeso da porte di un impenetrabile metallo alieno. Mentre la creatura è occupata a fondere il metallo delle porte, che tengono duro come un panetto di burro lasciato al sole in un pomeriggio di luglio, Morbius è incalzato e infilzato dalle domande impietose del Capitano, che ha compreso la vera natura del mostro, grazie al sacrificio del medico di bordo che, di nascosto, curioso come una scimmia (o il gatto) o un qualsiasi scienziato degno di questo nome o ricercatore alla ricerca del nome, si era sottoposto alla Macchina del Sostegno danneggiandosi irreparabilmente il cervello, se è vero che la curiosità uccide il gatto questa volta è il medico a lasciarci lo zampino, ma non prima di svelare la verità al Capitano, e così Morbius scopre che la misteriosa creatura sterminatrice della civiltà Krell era stata generata dai loro stessi desideri inconsci, amplificati e materializzati dalla Macchina. Poveri Krell sterminati in una sola tragica notte, dalla loro natura animale repressa e inconscia ma depositata, come un fiore tra le pagine di un libro, nel cuore oscuro della loro chiarissima mente dai loro avi selvaggi. Ma non esiste più un solo Krell su Altair, ribatte trionfante il professore al Capitano, come spiegare la presenza del mostro? Morbius non è ancora in grado di affrontare tutta la terribile verità: il mostro che sterminò l’equipaggio del Bellerofonte e ora sta per penetrare nel laboratorio per farli a pezzettini è della materia dei sogni e degli incubi del professore. È il demone di Morbius alla porta.

(*) W. J. Stuart, Il Pianeta Proibito, Mondadori Urania, 1977, pp. 105-106.

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