lunedì 29 settembre 2008

La macchina fotografica di Filippo di Ser Brunellesco

I nostri antenati si sono evoluti sugli alberi (checché ne pensino i predicatori creazionisti), ma al contrario di Scrat lo scoiattolo dell’Era glaciale, erano onnivori: si cibavano di frutta, semi, insetti e piccoli vertebrati, per esempio lucertole. L’antenato del predicatore creazionista, in agguato nell’ombra verde delle foglie, sapeva approfittare con lodevole talento delle zampe anteriori per agguantare una lucertola, e sapeva valutare bene le distanze per balzare da un ramo all’altro senza fare un capitombolo nel vuoto. Una valutazione precisa delle distanze presuppone la visione binoculare, cioè mettere a fuoco entrambi gli occhi su un oggetto vicino, e per farlo è necessario che gli occhi siano posti nella parte frontale del cranio. Guardando un oggetto da due diversi punti di vista otteniamo due immagini, impresse sulle retine. Se l’oggetto è lontano, come per esempio il cielo stellato, le due immagini sono uguali e non percepiamo la profondità, se invece l’oggetto è vicino, le due immagini sulle retine sono leggermente diverse. Ad esempio se fissiamo un portamatite, posto sul tavolo davanti a noi, chiudendo ora l’uno ora l’altro occhio, vediamo (o con l’occhio destro o con il sinistro) un lato scorciato del portamatite. Se guardiamo il portamatite con entrambi gli occhi le due immagini si fondono nel cervello in un’immagine in rilievo; quando questa fusione nel cervello non avviene, si parla allora di diplopia, oppure di una sbornia. Per vedere le due immagini reali di un oggetto, per esempio una matita posta sul tavolo, con entrambi gli occhi (e senza doversi attaccare al fiasco di vino), è sufficiente porre tra la matita e gli occhi il dito indice, se si mette a fuoco il dito si vedranno due matite, se invece si fissa la matita si vedranno due dita.
In modo analogo da due fotografie scattate da due punti di vista leggermente diversi è possibile, con uno strumento chiamato stereoscopio, ottenere l’illusione del rilievo. Il metodo migliore per visualizzare immagini in rilievo su uno schermo di computer è quello degli anaglifi.
L’anaglifo è un’immagine di due figure leggermente sovrapposte, una di colore rosso e l’altra di colore ciano. L’immagine di sinistra è codificata in rosso (è privata dei colori verde e blu dello spazio RGB), mentre l’immagine di destra è privata del solo colore rosso, quindi assume un colore ciano (verde più blu), dopo di ciò si procede con la sovrapposizione in un’unica immagine. Per vedere l’immagine in rilievo sono necessari degli speciali occhialini di plastica o cartoncino, con una lente rossa e l’altra blu.
Le immagini tridimensionali di sintesi, realizzate con programmi di modellazione e rendering, non danno l’illusione del rilievo come gli anaglifi, tuttavia consentono, grazie alle immagini di render, di ottenere molte più informazioni sulla scena stessa. Un modello tridimensionale è un oggetto virtuale, quindi prima di essere sottoposto a rendering deve essere illuminato con un modello di illuminazione.
La scoperta e la prima esemplificazione pratica della prospettiva sono opera di Filippo Brunelleschi (1377-1446); la teorizzazione della prospettiva è invece merito di Leon Battista Alberti (1404-1472) nel suo Trattato della pittura del 1435. La prima opera prospettica del Brunelleschi è una tavoletta quadrata di 30 cm di lato, raffigurante il Battistero di San Giovanni a Firenze, dipinta sul finire del primo quarto del Quattrocento. L’opera è andata perduta, e l’unica testimonianza sicura è la descrizione fatta dal biografo del Brunelleschi, Antonio di Tuccio Manetti (1423-1497), autore di una Vita di Brunellesco; anche il Vasari, nelle Vite, accenna alla tavoletta prospettica:

Attese molto alla prospettiva allora molto in male uso adoperata per molte falsità che vi si facevano. Nella quale perse molto tempo, perfino che egli trovò da sé un modo che ella potesse venir giusta e perfetta, che fu il levarla con la pianta e proffilo e per via della intersegazione, cosa veramente ingegnosissima et utile all’arte del disegno. Di questa prese tanta vaghezza, che di sua mano ritrasse la piazza di Santo Giovanni, con tutti quegli spartimenti della incrostatura murati di marmi neri e bianchi, che diminuivano con una grazia singolare, e similmente fece la casa della Misericordia, con le botteghe de’ cialdonai e la volta de’ Pecori e da l’altra banda la colonna di Santo Zanobi (1).

Il fondo della tavoletta, dietro il Battistero e le case accanto, era in «ariento brunito», così da specchiare il cielo e le nuvole. Per far coincidere il punto di vista dell’osservatore col punto centrale della prospettiva Brunelleschi praticò un foro nella tavoletta, in corrispondenza del punto centrico. La visione del dipinto avveniva in questo modo: l’osservatore doveva tenere la tavoletta voltata con una mano e accostare il foro ad un occhio, con l’altra mano reggeva uno specchio, nel quale, attraverso il foro, vedeva il dipinto. Lo storico dell’arte Battisti ha direttamente sperimentato la visione prospettica descritta dal Manetti:

Sì è potuto rifare l’esperimento, mediante specchio e macchina fotografica, o mediante tavoletta e specchio. I risultati comprovano, assolutamente, l’esattezza del racconto del Biografo. La tavoletta che corrisponde alla veduta reale è, come egli dice, di mezzo braccio quadrato, con base equivalente a circa cm 36,6 e l’altezza uguale a circa 46,5 centimetri (lievi modifiche dipendono da varianti nell’altezza dell’osservatore), l’angolo visivo è di circa 45°, il dipinto risulta in scala di 1:75, la distanza reale del riguardante dal Battistero è di 60 braccia, quella fra dipinto e specchio è perfettamente in scala, cioè un braccio (2).

In seguito gli artisti sperimentano la camera oscura. La camera oscura è descritta per esempio nel Codice Atlantico di Leonardo da Vinci. I cinesi furono probabilmente i primi a scoprire che se si pratica un forellino in una parete di una stanza, tenuta completamente al buio, sulla parete opposta alla parete forata si forma l’immagine capovolta del mondo esterno.
Il modello geometrico più semplice della formazione dell’immagine è la macchina fotografica a foro di spillo, in altre parole la camera oscura. Se P è un punto della scena, con coordinate (X, Y, Z) e P’ la sua proiezione sul piano immagine (la parete opposta al foro d’ingresso della luce) con coordinate (x’, y’, z’), e se f è la distanza dal foro (chiamato centro di proiezione) al piano immagine, allora le coordinate del punto P’, vale a dire la sua proiezione prospettica, sono date dalle seguenti espressioni:

x’=-fX/Z

y’=-fY/Z

z’=-f

L’immagine è invertita rispetto alla scena, come indicato dal segno meno. L’Alberti fu il primo a suggerire di spostare il piano immagine davanti al centro di proiezione per eliminare il segno meno dalle espressioni. La divisione per Z è responsabile dell’effetto di scorcio.

(Opus incerta, 2007)


(1) Giorgio Vasari, Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue, insino a’ tempi nostri, Nell’edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550, Einaudi, 1991, p. 279.
(2) E. Battisti, Filippo Brunelleschi, Milano 1976, citato in Renzo L. Beltrame, «Storia del costituirsi di un modo mentale. La prospettiva rinascimentale», Rapporto CNUCE C97-24, Dicembre 1997 (Rev. Novembre 1998), p. 40.

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