martedì 30 settembre 2008

Il mondo senza di noi

Il mondo senza di noi, di Alan Weisman, numero 1 nelle classifiche di vendita americane per diversi mesi, descrive un mondo (appunto) senza di noi. L’intento è poetico il risultato è prosaico.
L’autore parte dalla premessa che per distruggere un fienile è sufficiente fare un buco di un centinaio di centimetri quadrati nel tetto del fienile, e poi stare a guardare (se a bocca aperta non è scritto). Il giorno dopo la scomparsa dell’uomo la natura già prende il sopravvento (e senza incentivi): un esile filo d’erba lasciato a sé stesso si trasforma, piano piano, anno dopo anno, in un possente albero che sbriciola il marciapiede, passano gli anni, l’albero cade sulla strada. Chi non ha interesse per la cosa pubblica si comporta nei fatti come la natura. Il lettore però non si deve aspettare fantasie da dopobomba o dopovirus (o da dopolavoro, quando seduti in tram, con gli occhi che dolcemente si chiudono, vediamo gli alberelli stenti del giardino che ci passa accanto invadere la strada con le auto accartocciate rosse di ruggine), perché il saggio è abitato da scienziati seriosi e preoccupati, ma con la barbetta brizzolata, e snelli e giovanili a più di cinquant’anni, e con occhi che disegnano una mezzaluna quando riflettono, che si stringono nelle spalle, e forse si torcono le mani, non so, non ho letto tutto il libro. Un libro che va avanti e indietro, zooma nel passato e poi nel futuro, e non ti lascia il tempo di fantasticare su occhi bianchi sul pianeta Terra e licantropi, e alla fine, stringi stringi, la tesi che sostiene è che non resterà niente dell’opera dell’uomo (quando l’uomo sarà scomparso): un po’ poco.
Tuttavia il libro fa riflettere, per esempio fa capire perché d’estate il turista italiano alla ricerca di emozioni forti si risveglia abbarbicato sul K2, aspettando l’elicottero di soccorso. Infatti, nelle prime pagine è descritto un “tesoro biologico intatto”, un “residuo della foresta primordiale che un tempo si estendeva fino alla Siberia e a ovest fino all’Irlanda”, un luogo inviolato e selvaggio più delle montagne del Tibet. Il punto è come diavolo si pronuncia Bialowieza Puszcza!? (Conosciuta anche col nome di Belaveskaja Pušča (Белавеская пушча) o Belovežskaja Pušča in Bielorussia e Puszcza Białowieska in Polonia, come da Wikipedia, e non è che aiuta).

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