domenica 1 agosto 2010

Case in capo al mondo, I

Chi non ha sognato, guardando fuori dal finestrino di un treno regionale che corre sferragliando in un pomeriggio d’estate, di scendere alla prima stazione e dopo pochi metri di strade sconosciute entrare in un portone di una casa, passare da stanza a stanza come se fosse nostra. Case in capo al mondo, case dietro l’angolo, case nascoste da un muro di giardino. Case vuote ma familiari, con il frigorifero spento e la spina sul pavimento e nella credenza qualche barattolo polveroso di pomodori, piselli, qualche scatola di pasta e ovviamente il caffè... be’, certo anche la marmellata e poi via, c’è il forno proprio sotto casa; un gatto salta il muro in opus incertum del giardino e ci viene a fare visita in cucina, mentre il cane resta fuori ad abbaiare. Case viste nei film e impresse per sempre nella memoria.

Mettiamo subito un vincolo: queste case non sono wunderkammern. Ci sono tanti esempi di wunderkammern nel cinema ma non sono poi molte le case mostrate da cima a fondo nella cinematografia mondiale. Ok, qualche volta la casa si riduce ad una camera ammobiliata in affitto dove l’assassino scrive una lettera (anonima) alla polizia, ma al regista interessa mostrare la mano grassoccia dell’assassino che scrive la lettera (anonima) mica la camera… Spesso il protagonista è lì che si torce le mani, chiuso in una cella, uno studio, un laboratorio, un ufficio statale, oppure gira, con le mani in tasca, le sale di un museo di storia naturale, ma cosa c’è dietro quella porta e dove portano quelle scale e cosa c’è nelle altre stanze della casa, noi non lo sappiamo e probabilmente (salvo un sempre possibile remake) non lo sapremo mai. E se la stanza è mostrata nei minimi dettagli allora è una wunderkammer, non una immagine del tempo ma una capsula del tempo. Una stanza delle meraviglie, separata per sua natura dalle altre stanze quotidiane di una casa che può essere fatta di nebbia (Solaris di Tarkowskij) o di cartapesta o di finzioni.

E ora poniamo il secondo vincolo. E’ vero, esistono case che il regista ci mostra da cima a fondo ma noi non ci vorremmo mai abitare (La Casa di Raimi), mica per altro ma gli spettri sono presenze troppo ingombranti e inquinanti, ti deformano la visuale in un'assurda prospettiva, non ti lasciano mai bere in pace un caffè… dunque siamo alla ricerca (nella cinematografia mondiale) di case luminose, case serene anche sotto cieli neri di tempesta.

E ora l'ultimo vincolo. Il protagonista di una canzone di Guccini (Argentina), immagina di entrare a caso in un portone, di fresco, scale e odori abituali, posar la giacca, fare colazione e ritrovarsi in giorni e volti uguali… tutto ok fin quando disegnando un labirinto di passi tuoi per quei selciati alieni ti accorgi con la forza dell’istinto che non son tuoi e tu non gli appartieni. Città aliene, e quindi per definizione città deserte di esseri umani (o scarsamente abitate da scarsamente umani), città del dopo bomba, virus, a ferragosto, città canicolari o autunnali, finalmente città metafisiche. Le città sono conglomerati di case, scuole, uffici, banche, ospedali, musei… e soprattutto di persone. L’ultimo superstite in una città deserta entra in una casa, scavalcando la mummia grigia di una vecchietta rattrappita sul pianerottolo, guarda nella credenza in cucina, è alla ricerca oziosa di qualche barattolo di pelati, ceci, caffè; è ozioso perché l’intera città gli appartiene. L’ultimo eroe superstite cammina senza fretta su strade solitarie, attraversa piazze metafisiche… vivere in un quadro metafisico sarà affascinante per qualche giorno, forse un paio di settimane, ma alla lunga sopravvivere in un quadro di De Chirico deve essere di una noia mortale… dunque, cerchiamo esempi di case in mezzo a quartieri affollati (anche se in capo al mondo), anche se nascoste dagli alberi di un giardino mediterraneo, o sul confine di un villaggio di pescatori.
.

Nessun commento:

Posta un commento