sabato 28 agosto 2010

Case in capo al mondo, VIII


La strada tutta sepolta tra due crinali di colline, fangosa, sassosa, solcata da rotaie profonde, che, dopo una pioggia divenivan rigagnoli; e in certe parti più basse s’allagava tutta, che si sarebbe potuto andarci in barca, o almeno così avrebbe scritto il Manzoni, e nella fanga passano e sostano cose, persone e animali; ecco per esempio un bianco bove che trascina un carretto, dappresso quattro portantini con cappelli bianchi trasportano una portantina, e un vecchierello canuto poco distante sta strascinando un baule fornito di quattro ruote cigolanti e in fondo alla strada c’è un pastore dietro un branco di pecore (anch'esse bianche), un pellegrino dal cuore nero è diretto in Terra Santa, ma per ora sta seduto su un sasso e si riposa. I crinali delle colline disegnano il profilo di una città perduta, forse etrusca, dalla quale, estrema propaggine, si dirama quel che resta di un muro e di una fonte con una vasca d’acqua fangosa, o forse nascondono i crinali le vertebre e le membra di un drago azzurro. Al confine con il cielo radi alberelli stanno di sentinella ad avvisare il drago dell’invisibile presenza di una tigre bianca che sbadiglia e si stira, appena dietro le colline. E’ un paesaggio che nemmeno alla lontana assomiglia a quel luogo perso nei meandri della memoria, silenzioso, verde ombroso e arcadico che i nonni forzisti di una volta sognavano essere l’Italia-Magica, piuttosto è un paesaggio brullo, un tempo antropizzato e ora perennemente fatiscente, pare masticato e sputacchiato da generazioni di barbari, barboni e barbagianni in saio. Paesaggio ingombro di rovine e ruderi di una estinta civiltà, da innumerevoli secoli i ruderi hanno preso il colore della terra, semiaffioranti tra i sassi e le erbe aromatiche che crescono spontanee nei campi incerti sono solo d’inciampo al pellegrino e agli sparuti coltivatori diretti.
La figurina che trascina il baule, che poi è la sua casa e la sua bottega (e chi non ha sognato almeno una volta di girare il mondo in roulotte), su ruote cigolanti si chiama Abacuc, è un robivecchi ebreo, vecchio più del cucco. Si dice di un oggetto o di un essere animato che è vecchio come il cucco quando è di molto ma di molto vecchio. E’ possibile usare il cucco come pietra di paragone per datare un oggetto o un essere vivente: un macinino del caffè, una macchina per cucire a manovella, Abacuc. Notate bene, questo modo di dire è usato solo in senso peggiorativo, se non dispregiativo. Infatti, non si dirà mai di un Commodore 64 con 48 K di Ram capace di generare il grafico a fil di ferro di una sinusoide dopo appena cinquanta minuti di calcolo che è vecchio come il cucco, ma di un vecchio PC 486 certamente sì. Un ragionamento analogo vale anche per un essere animato: il cane incontinente dei vicini di casa, il gatto spelacchiato della zia, il chiarissimo professore ottuagenario, e così via, sono classificabili vecchi come il cucco.
Una domanda sorge a questo punto spontanea: quanto è vecchio il cucco? E’ possibile trovare su ebay un cucco usato ma ancora in buono stato? E come riconoscere un cucco originale da una vile imitazione, solo dal prezzo esoso? O esistono parametri oggettivi, razionali, una lista razional-tipologica del cucco. E l’esperienza sul campo aiuta? Come quella che consente, per esempio, di distinguere a colpo d’occhio un fungo porcino da un fungo che sembra commestibile al profano ma non lo è. Già, esistono cucchi velenosi?
Per trovare una risposta a queste e simili domande si deve, per prima cosa, sgombrare il campo da un equivoco, duro a morire e anch’esso vecchio come il cucco: il cucco non è un oggetto, il cucco non è un essere animato, il cucco non è un animale o una pianta. Il cucco è un monte, o meglio era un colle, anzi era una collina situata nei dintorni di Firenze, in Oltrarno. Poco dopo la metà del XV secolo, sul pendio di quella collina, chiamata per l’appunto Montecucco, fu fatto costruire da tale Luca Pitti, pare su progetto del Brunelleschi, un palazzo che da allora in poi fu sempre conosciuto come Palazzo Pitti, nonostante i molteplici passaggi di proprietà (vi abitò anche Vittorio Emanuele II). Si potrebbe quindi affermare che Abacuc è vecchio almeno quanto Palazzo Pitti. Ma si può andare ancora più indietro nel tempo. Sembra che Luca Pitti fece pesare tutta la sua autorità per ottenere i permessi necessari per l’edificazione del suo palazzo, ché non poteva vivere altrimenti. In quel tempo di Rinascimento incipiente la mancanza di abitazioni popolari era già notevole, ciò nonostante Luca Pitti fece demolire le case che esistevano su Montecucco. I proprietari delle case, invitati a far fagotto delle loro quattro prugne (un altro modo di dire) e sgomberare, non ebbero né un compenso né un nuovo alloggio, ecco che prendeva campo una consuetudine, vecchia come il cucco. Le macerie di quelle case costituiscono, di fatto, il terminus post quem per datare il nostro macinino del caffè e il cane dei vicini, mentre Palazzo Pitti è il terminus ante quem del cucco.
Possiamo sicuramente datare Abacuc all'Alto Medioevo, prima del cucco.
A que’ passi, un piccol sentiero erto, a scalini, sulla riva, indicava che altri passeggieri s’eran fatta una strada ne’ campi, osserva il Manzoni. E da quei campi scendevano 3 fuggitivi urlanti come se cavalcassero 3 mountain bike usate o rampichini: un grassone, un mercenario dei paesi del nord e un ragazzino residente in un villaggio limitrofo appena passato a ferro e fuoco. Essi correvano contro il vecchio rigattiere già tremolante di suo e adesso arciconvinto di terminare i suoi giorni davanti a una vasca battesimale piena più di fango che d’acqua; a scanso di equivoci si serra il vecchio a chiave dentro la sua roulotte, ma i tre figuri si rivelano essere ridenti, anche se un po’ selvaggi, venditori di cianfrusaglie. Cosa vendevano e cosa compravano i rigattieri di quei tempi là? Almeno una testa con gambe e strane bestie lumacose fuoriuscenti da seriche conchiglie e il canto di una sirena intrappolato in una conchiglia, e poi piante zoomorfe e facce lunari e ali di pipistrello e creste di drago e code di rospo, forse un carapace di testuggine marina, i denti incisivi persi a scuola dai bambini in un anno scolastico, piattole e ragni (sia vivi sia morti) in abbondanza, erbe aromatiche, erbe medicinali, fiori di Bach, pidocchi, incubi e demoni con ali d’angelo e demoni cinocefali e demoni con proboscide d’elefante, un ornitorinco imbalsamato, la pelle di un tapiro, il cranio di un polifemo siculo, pietre del fulmine, la mappa del tesoro di Teodorico, la dentiera di Attila, le foglie della Sibilla, un prisma ottico, lenti per vecchi e per vedere lontano, tappeti e stracci penduli, vasi ming e attici, cappelli piramidali, un coniglio nel cilindro, tarocchi e carte da gioco, statuette di Budda, barattoli di miele d'acacia e misteriosi animaletti e pesci degli abissi marini conservati in vasi di vetro colmi di alcool, la testa sotto spirito dell’imperatore buono Traiano e interi universi dentro palle di vetro, rocce zoomorfe, il corno di un unicorno, un ciocorì, macchie di muffa sui muri, la vasca con la fontana, una copia autografa della Bibbia e qualche mummia di santo, larve e coleotteri, nere farfalle e maschere polinesiane, polverose uova di emù e di gallina mugellana, uova quadre e una cartapecora con l’autorità di assegnare titolo e feudo al portatore della stessa.
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