Facendo molta attenzione, aguzzando l’udito al di là della sensibilità del cane Argo, oltre il livello paranormale di un panel test di assaggiatori del pane del sogno, certo non sfuggirà al turista convenzionale questa conversazione sopra le righe (anche se molto danneggiata dal rumore del tempo), pure con un lampo di visione:
Man mano che ci allontanavamo dal fiume, il sole si faceva più forte. La terra era più arsa. Sentivamo un profumo secco nell’aria, un profumo di fiori. E arrivammo in un villaggio abitato da uomini che si nutrivano di quei fiori, pestandoli dentro mortai. Ero preparato a trovare i miei uomini morti o in pericolo e invece erano là, tra gente di pelle scura e stranamente vestita, come se ci fossero stati sempre, come fossero loro fratelli…
Una cucina indigena, una cucina all’aria aperta, senza fuoco senza acqua, un semplice piatto preparato da mani nere. I tre compagni di Ulisse hanno la faccia imbiancata con la farina del sogno, gli occhi bianchi rivolti ad un cielo bianco sgombro di dèi. Perché il motociclista zingaro ha fatto scappare a gambe levate i buoni indigeni? Immaginate delle silhouette dal profilo negroide tutte in corsa, nella classica corsa in ginocchio, girano per l'eternità in cerchio sopra la superficie di un vaso greco (indigeni che nei fumetti di zio Paperone e Paperino, quando erano in giro per paesi esotici, erano chiamati autoctoni, disegnati come tonti, buoni volenterosi, ma tonti). Ulisse perché li hai spaventati? Questi buoni selvaggi non conoscono il mare, non conoscono il male. Che cale tornare in patria, tra le formiche aliene, i genitori morti o peggio rimbambiti, i figli cresciuti con altri padri, privi di fratelli… germani, meglio restare qui per sempre a cantare con le cicale in una eterna estate. Così li faceva parlare quella polvere dolcissima che li illudeva (sarà mica stata una droga?) di non essere mai partiti da Itaca, di non aver mai preso il vento sulle navi dalle vele nere. Ma Ulisse getta lontano la ciotola colma di quella polvere dolcissima; promette loro che non dimenticheranno mai la loro patria, volenti o nolenti torneranno sul mare tra sirene meduse seppie oloturie e sgombri, torneranno a casa (fosse pure dentro una bara).
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Man mano che ci allontanavamo dal fiume, il sole si faceva più forte. La terra era più arsa. Sentivamo un profumo secco nell’aria, un profumo di fiori. E arrivammo in un villaggio abitato da uomini che si nutrivano di quei fiori, pestandoli dentro mortai. Ero preparato a trovare i miei uomini morti o in pericolo e invece erano là, tra gente di pelle scura e stranamente vestita, come se ci fossero stati sempre, come fossero loro fratelli…
Una cucina indigena, una cucina all’aria aperta, senza fuoco senza acqua, un semplice piatto preparato da mani nere. I tre compagni di Ulisse hanno la faccia imbiancata con la farina del sogno, gli occhi bianchi rivolti ad un cielo bianco sgombro di dèi. Perché il motociclista zingaro ha fatto scappare a gambe levate i buoni indigeni? Immaginate delle silhouette dal profilo negroide tutte in corsa, nella classica corsa in ginocchio, girano per l'eternità in cerchio sopra la superficie di un vaso greco (indigeni che nei fumetti di zio Paperone e Paperino, quando erano in giro per paesi esotici, erano chiamati autoctoni, disegnati come tonti, buoni volenterosi, ma tonti). Ulisse perché li hai spaventati? Questi buoni selvaggi non conoscono il mare, non conoscono il male. Che cale tornare in patria, tra le formiche aliene, i genitori morti o peggio rimbambiti, i figli cresciuti con altri padri, privi di fratelli… germani, meglio restare qui per sempre a cantare con le cicale in una eterna estate. Così li faceva parlare quella polvere dolcissima che li illudeva (sarà mica stata una droga?) di non essere mai partiti da Itaca, di non aver mai preso il vento sulle navi dalle vele nere. Ma Ulisse getta lontano la ciotola colma di quella polvere dolcissima; promette loro che non dimenticheranno mai la loro patria, volenti o nolenti torneranno sul mare tra sirene meduse seppie oloturie e sgombri, torneranno a casa (fosse pure dentro una bara).
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