sabato 13 marzo 2010

A cavallo di un'anatra inquieta (Incontri con l'arte, 3)

...(la vita di Cellini la scrissi io quattrocent'anni fa)...
Ottone Rosai, Via Toscanella

In sogno Magico Primario, prima di lasciarmi ad un sonno profondo e riparatore (fino alle cinque e ½), mi aveva spiegato la causa profonda del malessere, di quella strana inquietudine, che provavo osservando la schiena di G (medico specialista nel reparto del dr. House), schiena coperta da un giaccone rosso fiammante, vale a dire mi ponevo, a me stesso muto, le seguenti domande: perché G mostrava la schiena al cameraman; perché il regista non inquadrava più g (paziente amico di G); perché le beccacce e le pernici e i pappafichi del bosco se ne stavano chiotti chiotti, fingendo peraltro tutti d'essere merli o passerotti, e coi teneri beccucci aperti; perché sentivo che G aveva qualche buona probabilità di finire steso morto fulminato, tra le foglie e i funghi del sottobosco, con il giaccone rosso fiammante bucato.

Colpevole e causa primaria del déjà-vu, secondo Magico Primario, è un famigerato artista manierista, tale Cellini Benvenuto, il quale, plagiando la scena del giaccone rosso, e numerose altre scene della serie tv del dr. House e non solo, era riuscito (con un colpo da maestro di marketing) a convincere gli storici che la sua Vita era antecedente alla serie del dr. House, che lui stesso era il modello ispiratore del cinico clinico zoppo veggente e megalomane, e che la parola americana "pizza" è traducibile in italiano (e in giapponese) solo in modo vago e con un giro di parole, per esempio come una sorta di piatto di pasta con sopra il pomodoro.

Ed ecco la prova del plagio (per maggior chiarezza di lettura e per evidenziare i nessi strutturali ho colorato le parole chiave):

"Io mi attendevo a tirare le mie artiglierie, e con esse facevo ognindí qualche cosa notabilissima; di modo che io avevo acquistato un credito e una grazia col Papa inistimabile. Non passava mai giorno, che io non ammazzassi qualcun degli inimici di fuora. Essendo un giorno in fra gli altri, il Papa passeggiava per il mastio ritondo, e vedeva in Prati un colonello spagnuolo, il quale lui lo conosceva per alcuni contrassegni, inteso che questo era stato già al suo servizio; e in mentre che lo guardava, ragionava di lui. Io che ero di sopra a l'Agnolo, e non sapevo nulla di questo, ma vedevo uno uomo che stava là a fare aconciare trincee con una zagaglietta in mano, vestito tutto di rosato, disegnando quel che io potessi fare contra di lui, presi un mio gerifalco che io avevo quivi, il qual pezzo si è maggiore e piú lungo di un sacro, quasi come una mezza colubrina: questo pezzo io lo votai, di poi lo caricai con una buona parte di polvere fine mescolata con la grossa; di poi lo dirizzai benissimo a questo uomo rosso, dandogli un arcata maravigliosa, perché era tanto discosto, che l'arte non prometteva tirare cosí lontano artiglierie di quella sorta. Dèttigli fuoco e presi apunto nel mezzo quel uomo rosso, il quali s'aveva messo la spada per saccenteria dinanzi, in un certo suo modo spagnolesco: che giunta la mia palla della artiglieria, percosso in quella spada, si vidde il ditto uomo diviso in dua pezzi. Il Papa, che tal cosa non aspettava, ne prese assai piacere e maraviglia, sí perché gli pareva inpossibile che una artiglieria potessi giugnere tanto lunge di mira, e perché quello uomo esser diviso in dua pezzi, non si poteva accomodare e come questo caso star potessi; e mandatomi a chiamare, mi domandò. Per la qual cosa io gli dissi tutta la diligenza che io avevo osato al modo del tirare; ma per esser l'uomo in dua pezzi, né lui né io non sapevamo la causa. Inginocchiatomi, lo pregai che mi ribenedissi dell'omicidio, e d'altri che io ne avevo fatti in quel Castello in servizio della Chiesa. Alla qual cosa il Papa, alzato le mane e fattomi un patente crocione sopra la mia figura, mi disse che mi benediva, e che mi perdonava tutti gli omicidii che io avevo mai fatti e tutti quelli che mai io farei in servizio della Chiesa appostolica. Partitomi, me ne andai su, e sollecitando non restavo mai di tirare; e quasi mai andava colpo vano. Il mio disegnare e i mia begli studii e la mia bellezza di sonare di musica, tutte erano in sonar di quelle artiglierie, e s'i' avessi a dire particularmente le belle cose che in quella infernalità crudele io feci, farei maravigliare il mondo; ma per non essere troppo lungo me le passo" (*)

(*) Benvenuto Cellini, Vita (Libro primo, XXXVII)
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