martedì 30 marzo 2010

Ultimo bestiario

Si vede una rosa, in un barattolo con etichetta illeggibile appoggiato sul davanzale di una finestra chiusa, nell’angolo superiore del rettangolo, quello a sinistra di chi guarda, è una rosa rossa con tre foglie verdi; nell’angolo inferiore del rettangolo o vignetta (sempre a sinistra di chi guarda) c’è un telescopio rifrattore montato su strambe ruote e ingranaggi, forse equatoriali forse per inseguire le stelle forse divinare il futuro; sul telescopio è installato e vincolato un canocchialino galileiano, dicesi cercatore, ma in questo momento il telescopio guarda il soffitto della stanza e il cercatore può solo cercare le mosche; tra il telescopio e la finestra e la rosa rossa c’è uno strano alambicco, in attesa di alambiccare forse composti chimici o forse distillati omeopatici. Al centro del rettangolo si vede un grosso libro aperto, tenuto in mano da un papero balzano (scarsamente barksiano), vestito con un maglione a girocollo e un buffo berretto a ponpon ritto sulla testa; il papero balzano sta seduto in una grande poltrona, ma non appoggia la schiena alla spalliera, dal berretto a ponpon fuoriescono radi lunghi capelli a fil di ferro; una lampadina accesa sopra la testa del papero, è sospesa per aria grazie a due rozze assicelle di legno, illumina e guida il papero elettrico nella lettura del libro che ha per titolo il “Gattalogo”. Il papero non riesce a credere a quello che ha appena letto nel libro, e felicemente incredulo telefona ad un suo lontano cugino, infatti, nella vignetta successiva dice, Paperino, ho appena letto nel mio "Gattalogo" che Malachia è un raro esemplare di gatto tasmaniano. All’altro capo del filo gli risponde un tranquillo e disincantato papero casalingo (con strofinaccio e piatto bagnato in mano, stava rigovernando il suo passato): Malachia, gatto raro? Non dire sciocchezze! E’ solo un grasso gatto casalingo!, nella vignetta seguente il grasso gatto casalingo guarda il papero con il piatto in mano e pensa, Un gatto grasso, eh? Troppo gentile!
E improvvisamente, in questa prima pagina di una storia di Dick Kinney e Al Hubbard, la straordinaria wunderkammer di Carl Barks (1942-1967) scoppia come una bolla di sapone.
Questo papero disperato, questo papero matto e strampalato, figlio dei fiori, figlio di una notte d’estate, cugino alla lontana di un ex giramondo, ex dannato dai mille mestieri e dalle diecimila sfortune – ma che fine hanno fatto Qui Quo Qua? – legge manuali fai-da-te, si cura da sé, inventa diete e filosofie e religioni, non cammina ma corre, perché tra il suo dire e il suo fare c’è solo un singolo battito del cuore.

I contorni non chiudono e rinsaldano la forma, ma acuti e continuamente spezzati la frantumano, le impediscono di realizzarsi in volume, la costringono nella realtà del piano, nella realtà del foglio bianco e delle matite. Le figure sono disarticolate; sono figure allungate, accartocciate, bruciate e bagnate, deformate, sputacchiano saliva in faccia al lettore; vivono accanto a ottusi e feroci cani da caccia all’evaso. Il papero ondivago, creato e disegnato dalla coppia Kinney & Hubbard, è come un lampo d’estate, vive solo dal 1964 al 1969. Dopo sarà il deserto dell’accademia disneyana e degli epigoni di Barks.

Soltanto Hubbard non tradisce gli schizzi di Kinney: guardate (outducks) il papero casalingo con il raffreddore, se ne sta tranquillo a letto a leggere un libro, e il gatto grasso sulla coperta tutto contento, e poi guardate il papero spiritato che gli piomba in casa improvvisamente laureato in medicina (e pure esperto in allergie da pelo di gatto), e poi guardate il gatto improvvisamente pelato – il papero soddisfatto con il rasoio di sicurezza in mano – pensa che tutto ciò è imbarazzante... e il papero casalingo si chiude in bagno, prende un’aspirina, e ne esce improvvisamente guarito (la battuta più divertente della storia).

Ora, cos’è un bestiario? qui Wikipedia aggiunge una parola in latino, e allora qui ci starebbe bene quel terribile papero di un tempo passato, se ne andava in giro con una scintilla nell'anima, e correndo guardava le pozzanghere sulla strada, improvvisamente abbacinato dal sole d'agosto, e dalla casa alla casa (del cugino e del gatto) ripensava a una paroletta letta in UN LIBRO e poi da quella partiva, con una sermone di due ore e mezza (anche tre, quando era particolarmente divertito, in altre parole "in vena"), al povero cugino infelice e al suo gatto grasso, e dicono andasse così inventando una filosofia dalle fondamenta; il papero sognava di tornare a vivere, un giorno, in un luogo, quasi un'isola di pagani dei mari del sud, là dove un papero e una mosca e l'anima sono uguali, là dove stava e voleva quello che era, ed era quel che voleva, tutti liberi dagli accoliti e dagli epigoni di Barks; e i lettori, alla fine della storia, chi saltava in aria chi batteva i piedi per terra chi parlava tutte le lingue del mondo chi piangeva chi rideva chi gridava, Siamo stati accecati dalla luce liberi come Paperoga, fuggitivi verso le isole dei mari del sud - tremavano i muri dell’accademia, tremavano le fondamenta della Accademia - e tutti lo imploravano di continuare e gli chiedevano ancora un bis (voi sarete testimoni di tutto ciò, perché non resterà neppure un cartone pirata, bootleggers, roll your tapes!), e chi nulla: troppo intento a disegnare le orecchie a Topolino.

E a noi, in questo tempo senza più fedi né speranze né ideali, cosa ci resta tra la cenere... forse una scintilla, nella cenere degli analfabeti vincenti e delle vite senza sbagli e tra mille sbadigli, una scintilla. Forse.
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