mercoledì 10 marzo 2010

Il pane del sogno (spin-off di CEIsAAA)

Questo post può essere letto come spin-off della serie dei post dedicati alla corrispondenza esterna e interna di uno staterello dell’Asia anteriore antica (CEIsAAA).
Vorrei spendere qualche parola sul perché questo post sarebbe uno spin-off. Dicesi spin-off,

nel mondo dei media, un film, un telefilm, una serie televisiva, un fumetto o una serie fumettistica, un'opera o serie letteraria, un videogioco ricavati elaborando elementi di sfondo di una serie o di un'opera precedente o traendo spunto da uno dei suoi personaggi (da Wikipedia).

Spin ha il significato di movimento rotatorio, ma può essere usato, in senso figurato, per descrivere una persona in preda al panico. La frase To spin a yarn, il dizionario, inglese-italiano e italiano-inglese, Hazon-Garzanti la traduce come il raccontare una storia. E off, fuori, fuori da, esterno, ecc.. Mettendo insieme le due parole si ottiene una storia raccontata al di fuori della storia principale, un po’ come un sentiero nel bosco che ad un certo punto si biforca, ponendo il viandante di fronte all’alternativa se continuare sulla vecchia strada o provare la nuova.
Lo spin-off deve sempre avere un personaggio che nella storia d’origine occupava un ruolo secondario, ma interessante; nel nostro caso il personaggio non è ovviamente né la corrispondenza esterna, né quella interna, e neppure l’Asia anteriore antica, il personaggio di questo post è lo strano modo di mettere insieme le parole in una frase che dovrebbe avere, ma non ci scommetterei sopra un calzino usato e bucato, un senso univoco e compiuto.

Oh! Le giornate nelle quali ci si sente la testa vuota! E viene a cullarci la voce di un amico completamente nullo!, così scriveva Charles Cros, mentre preparava il tè e imburrava le tartine (sopra e sotto come Pinocchio), e il tempo si fermava sul binario delle 5 e 3/4, e il gatto del Cheshire aveva appena finito di sparire, solo rimaneva nell’aria il vapore di un sorriso, e il disco di vinile girava sul piatto suonando Foxtrot.

Il primo lato si apre con Watcher of the skies, scritta sui tetti di una Napoli deserta (il gruppo era in Italia per il tour legato a Nursery Cryme). La desolazione della città campana ispira a Rutherford e a Banks l'idea di un mondo in cui la vita si è ormai estinta, osservato con stupore da visitatori alieni. [...]

[...] Un futuro distopico è delineato in Get'em out by friday, scritta intorno ad una prepotente operazione di speculazione edilizia, che porta addirittura ad abbassare l'altezza media del genere umano allo scopo di risparmiare spazio e e a far sloggiare gli inquilini meno abbienti dalle loro case per poi collocarli in abitazioni sempre più anguste ed inumane.

La seconda facciata si apre con il brano strumentale Horizons, eseguito alla chitarra acustica dal solo Hackett ed ispirato al primo movimento della Suite per violoncello BWV 1007 di Johann Sebastian Bach, ed è poi interamente occupata dalla monumentale suite Supper's Ready, in cui i temi biblici affrontati in From Genesis to Revelation tornano prepotentemente ad affacciarsi. [...] per una narrazione elegante, ricca di riferimenti storici, mitologici e biblici, carica di quei giochi di parole che continueranno ad essere una caratteristica delle liriche del gruppo. A tal proposito i testi dei Genesis furono spesso marcati come "intraducibili"; ciononostante, l'affermazione del gruppo fu pressoché inarrestabile al di fuori del Regno Unito prima che in patria (da Wikipedia).

Quando si ha la testa vuota si gira a caso su Internet e si finisce per leggere un articolo di Umberto Galimberti su Giovanni Semerano. Scrive UG:

Verso la fine degli anni Settanta Giovanni Spadolini, conosciuto Semerano, gli commissionò una ricerca dell’etimologia della parola "Italia", che allora veniva resa come "terra dei vitelli", da "vitulus" (vitello). Semerano segnalò che la "i" di "vitulus" era breve, mentre la "i" di "Italia" era lunga e perciò era presumibile che la parola venisse dall’accadico "atulu", che significa "terra del tramonto", cui corrispondeva la parola etrusca "hinthial" che vuol dire "ombra".

Terra del tramonto perché il punto di vista dell'osservatore erano le coste dell’Anatolia. Ecco che accade il miracolo, la testa si svuota completamente come la tazzina da tè della storiella zen; finalmente ci cade di dosso il macigno di vivere in una terra di eterni e allegri vitelli!

Ma è quando UG si mette a parlare male di Pallottino che si accende una scintilla, e anche se Giovanni Semerano non ne avesse azzeccata una in vita sua sai quanto me ne frega!
Straordinaria la fine dell’infinito di Anassimandro: il mare di Omero non è più la vela nera lontana lontana (quasi all'infinito) all’orizzonte, ma acqua e sabbia.

Semerano affermava di basarsi non sul metodo scientifico elaborato dalla linguistica comparata ma su assonanze fonetiche e su affinità di significato, seguendo dunque un procedimento paretimologico (da Wikipedia).

E qui la testa vuota prende il sopravvento, il cappellaio matto danza sul tavolo, parte lo spin-off, perché non è forse così che è nata la scrittura? Nella scrittura sumerica ad ogni segno o gruppo di segni corrispondeva una parola. La scrittura sumerica si sforzava fin dall’inizio di diventare quotidiana, corsiva e di uso comune (al contrario della scrittura egiziana, però gli egiziani avevano dalla loro parte dottori in marketing, infatti, hanno vinto tutte le battaglie e sono ancora tra noi con mummie e piramidi), come è possibile ciò? Ora come è possibile continuare a parlare dell’Egitto questo io non lo so, e m'importa quanto il mistero della prugna secca trovata in bocca a Tutankamon (a Giacobbo svelare il mistero della prugna secca); la mia domanda è come è possibile esprimere con segni, concetti difficilmente raffigurabili con i disegnini scemi degli egiziani? Elementare Watson, usando segni di parole dallo stesso suono, ma di significato diverso, per esempio il nome di persona En-lil-ti, tradotto in “Enlil ti conservi in vita”. Il segno per “conservare in vita” è un pittogramma a forma di freccia e, infatti, vuol dire “freccia”, ma ha lo stesso suono di “vita” in sumerico, concetto assai difficile da rappresentare con una figurina stilizzata. :)

Giacomo Debenedetti, citando Italo Svevo che citava Joyce, scrive nel Romanzo del Novecento (p. 581):

Quando il Joyce mi spiegava che il pane che un bambino sogna di mangiare non può essere lo stesso ch’egli mangia quando è desto perché il bambino non poteva trasportare nel sogno tutte le qualità del pane e che perciò il pane del sogno non poteva essere fatto della solita farina (flour) ma piuttosto di una farina designata con un suono simile (flower), fiore, che le toglieva delle qualità e gliene impartiva delle altre più proprie allo stato del sogno, io subito ricordai l’oggettività dell’Ulisse.

Si potrebbe pensare che molte parole scritte sono nate nei sogni degli scribi al lavoro. Chi era quel filosofo che elogiò l’ozio? Oh, che domanda oziosa... ;)

Ma si può spingere ancora avanti la carretta, accoppato Pallottino, esiliati in Anatolia gli etruscologi, fatti svanire – con una formula magica - gli indoeuropei, possiamo sognare un linguaggio comune che ci lega ai nostri compagni, gli altri animali?

La sensazione che si prova quando si comincia col dire una cosa e si viene a sapere di averne detta un’altra è quanto mai affascinante, una volta abituaticisi.
Un mattino, ricordo, volevo dire: “La fioritura dei ciliegi nel parco di Hibiya è molto bella questa primavera”, quello che in effetti dissi, come Wata-nabe-san mi spiegò più tardi, fu: “Noi uccelli color ciliegia voliamo sempre nel parco di Hibiya a primavera”. E’ un buon esempio di sparizione di parola: la parola “fioritura” era dileguata.
“Che ne è successo di fioritura?” chiesi a Wata-nabe-san quella mattina.
“Fioritura”, mi disse, “è diventata colore”, e combinandosi con la parola ciliegi, è divenuta una frase descrittiva. Vede” aggiunse, “lei ha usato il suffisso per uccelli".

(McKelway, Un suffisso per uccelli, in Gli umoristi moderni, Garzanti, 1971).

C’è stato un tempo, all’inizio della storia, che nessuno cadeva dal pero o si faceva beccare con un panino in mano, ma, come il Renzo del Manzoni che viveva da qualche parte nei pressi del lago di Como e ciarlava liberamente con mezzo mondo, le genti di quel tempo ciarlavano con genti di città e con genti di campagna e tutte le terre porgevano orecchio e, soprattutto, capivano, anche i cani e i gatti capivano (e viceversa). E se Renzo farfugliava fra i denti una frase con i puntini di sospensione l'oste della malora faceva subito sì con la testa, non solo ma Renzo chiamava tutti buoni figliuoli; un po’ come succede in Star Trek (dove anche l'alieno di forma e sostanza di un sasso con il muschio sopra è un bravo figliuolo, infatti, comunica con Spock, e prima o poi farà piangere il Capitano per qualcosa o per qualcuno o per qualcosa che ha perso qualcuno da qualche parte, benedetti 'sti alieni distratti), però Manzoni era nato a Milano, mentre i sumeri chissà da dove venivano, ma un bel giorno erano già lì, ad impastare infinite tavolette di terra e acqua.
.

Nessun commento:

Posta un commento