sabato 1 agosto 2009

Lost in the flood

L'immagine di un perplesso e divertito Tenente Colombo (con Cane al guinzaglio e accanto a una texture di nastri magnetici, color blu-cielo-d'estate, memorie di un antidiluviano computer) in atto di stringere la pinza destra al robot Robby, precipitato dal pianeta extrasolare Altair IV in un laboratorio del centro di ricerca sull'Intelligenza Artificiale, dove il direttore è un buon padre e un assassino, centro situato in una Los Angeles primi anni 70 del secolo scorso, prima del diluvio, e ancora bazzicata da Sanford e figlio (demente), per poco ancora prima di lasciare il campo e le strade e le piazze e gli ospedali (negozi, bar, case ecc.) a mutanti medievalisti nerovestiti con gli occhi bianchi, mi spinge ad una riflessione che è anche auto-citazione (da Opus incerta, 2007):

PkTEX è un programma a linea di comando, e il suo scopo è generare texture procedurali.
Una texture (procedurale o no) è una regione dell’immagine (digitale o analogica), caratterizzata da una successione di colori diversi che si ripete in maniera abbastanza regolare (ad esempio in un panorama con case, i tegoli e i coppi dei tetti sono una texture, e così pure le finestre che si aprono sulle facciate delle case). La texture seguente (texture A-c) dà subito una smentita a questa elegante definizione.




Immaginiamo un tipico robot di Asimov, chiuso all’interno di una stanza, con il solo bagaglio delle Tre Leggi della Robotica in testa. La stanza ha una porta e una finestra. Le pareti della stanza sono tappezzate con carta da parati a fiorelloni gialli. Il robot riceve l’ordine di lasciare subito la stanza. Tra lo sfondare il muro o uscire dalla porta, girando una maniglia, il robot asimoviano, ben educato, opterà per la porta (se il ricordo del film Qualcuno volò sul nido del cuculo non fa cortocircuito). Bene, per individuare la porta il robot deve, in qualche modo, ignorare la carta da parati (la texture). Quindi in Computer Vision le texture sono quella parte dell’immagine trascurabile, nella ricerca di informazioni significative. Talora però le texture contengono maggiori informazioni del resto dell’immagine, e talvolta è la texture a dare spessore all’immagine, a dare un senso alla visione.
Qualche parola sul nome del programma: tex sta sia per texture, sia per Tex (nel senso di nome proprio), in omaggio a Tex Avery. Ma chi era Tex Avery?

Tex Avery nasce il 26 febbraio 1908 in Texas, da cui deriva il suo soprannome. Esordisce nel cartone animato verso il 1930. Alla Warner, con Friz Freleng e Chuck Jones, sarà uno dei tre creatori di Bugs Bunny. [...] I suoi personaggi sembrano sfuggire a ogni controllo. Si rivoltano contro la compostezza hollywoodiana, escono dal quadro per intervenire arbitrariamente sulla proiezione. Le pecore divorano la pellicola, un topo racconta la fine del film. [...] Le sue creazioni traboccano di a parte con il pubblico, di polvere o capelli disegnati sulla pellicola per fare diventare matti i proiezionisti. [...] In Happy-Go-Nutty uno scoiattolo esclama: «Qui non siamo mica alla Disney!»1

Nell’inventare una nuova texture mi piace immaginarla mentre sgranocchia una carota, e chiede al prepotente di turno (di solito un cacciatore di conigli): «Ehm... Gnam gnam gnam... What's up Doc?».

E questo è tutto gente. (O almeno) questo è quanto dovevo all’esegesi di pkTEX.

(1) Bernard Génin, Il cinema d’animazione, Lindau, 2005, pp. 12-14.

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