giovedì 27 agosto 2009

Stanze parallele: le radici della famiglia Sanford

In una canzone di Francesco Guccini, l’io narrante che stavolta probabilmente coincide con l’io dell’Autore, è in visita alla casa degli avi. “La casa sul confine della sera / oscura e silenziosa se ne sta / respiri un’aria limpida e leggera / e senti voci forse di altra età”. Una canzone sulla pietra che resta mentre le persone passano e se ne vanno. Le pietre sono radici. Le radici sono pietre. Noi europei che abbiamo romani, greci e neri medievalisti appollaiati sulle spalle come gufi e civette abbiamo un vecchio osso in comune, più o meno nobile. Un sasso e un osso in comune. Qualche pietra messa su a formare un’opus incerta, un'incerta barriera tra il nostro campo e il campo del vicino. E il cuore di queste antiche case di pietra era la cucina, grande, fumosa, untuosa e oscura. Là si accendevano, la sera, le discussioni più accese tra i figli e i padri, tra chi voleva andare e chi voleva trattenere. Ma alla fine tutti prima o poi ritornavano alle vecchie fredde pietre, e questo dava “un grande senso di dolcezza”. Era il 1972, in Italia (e ancora si correva il Palio di Siena senza le necessarie protezioni per i cavalli).

Bene, anche nella nostra famiglia Sanford tutte le volte che si accende una discussione la scena è quasi sempre la cucina.





Ecco Lamont che si mostra al padre con la sua nuova veste africana (pagata 13 dollari) e pronuncia il suo nuovo nome di uomo libero. Kalunda. Ché Lamont Sanford è un nome da schiavi, e non vuole più essere chiamato Lamont. Ma per Fred, Lamont è il nome di un mitico giocatore di baseball, e le sue radici sono a Saint Louis (Missouri), dove viveva il padre del padre e prima ancora il padre del padre del padre. E prima?, incalza Lamont. Sono tempi preistorici. (Ben detto Fred. E questo mi ricorda la pretesa di certi archeologi classici di subordinare la ricerca preistorica solo e soltanto alla ricerca delle radici delle genti italiche). La discussione si sposta in cucina e si fa accesa, soprattutto da parte del figlio (chissà perché).
Lamont cerca di convincere il padre della necessità per i neri d’America di riscoprire le proprie radici africane e tribali.



Pressato del figlio, Fred prova a pronunciare il nuovo nome; per sentire come suona lo inserisce in frasi quotidiane: “Amici, vi presento mio figlio, Kalunda”.



Urlato. “Un pacco per Kalunda! Pacco per Ka-lu-Uu-nda!!”. E conclude che no, K. non è un nome adatto per un rigattiere. Con un nome del genere Lamont dovrebbe guidare un elefante non un camion.

Come insegna Claude Lévi-Strauss la cultura più che fuoriuscire dalle teste cotonate dei filosofi tedeschi nasce in mezzo alle padelle unte delle cucine, nel passaggio dal crudo al cotto. Non tutte le cose crude devono però finire bollite in pentola o arrosto sulla griglia.



Ecco, infatti, K. che addita disgustato il suo ex piatto preferito (pasticcio di salsicce e patate). Maiale! Il maiale è impuro. Anche la scienza medica lo dice che è pieno di colesterolo, inadatto all’organismo umano, ecc.



Prima di uscire K. dà al padre una lista della spesa. Soprattutto frutta e semi di girasole. “Sai quelle cose che mangiano i criceti”, dirà Fred all’amico Bubba. Era il 1972, in America (prima del politicamente corretto, sospetto).


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