venerdì 5 febbraio 2010

Immagini del Tempo, n. 2 (topi in soffitta)


A sinistra l’immagine (*) mostra l’interno di una enorme e oscura grotta, situata in un punto imprecisato della crosta terrestre, probabilmente sotto il cratere dello Sneffels Yocul in Islanda, però adesso non andate a cercarla con il filo a piombo. Le persone che giacciono addormentate sul suolo sabbioso della grotta sono i cinque membri interni della spedizione Lindenbrook. Dorme come un sasso, a destra nell’immagine, il professor Oliver Lindenbrook, quando è sveglio è il titolare della cattedra di Geologia Applicata alla Ricerca di un Pertugio per Toccare il Centro della Terra (GARP-tct, corso che dà diritto a sei crediti più 300 punti da spendere nell’acquisto di un cronografo per la registrazione della temperatura del vapore), purtroppo il corso era attivo nell’università di Edimburgo l’anno 1880, l’esame attualmente è riservato ai soli fuori corso. Dorme di un sonno leggero la vedova del professore di Stoccolma, l'esperto in sassi e ladro di idee, Carla Goetaborg. In mezzo dorme l’allievo e assistente del professor Lindenbrook, Alec McEwen e sogna la fidanzata. Ai loro piedi dorme pacificamente il giovanottone dal dente d’oro, Hans Belker di Reykjavik. E sono quattro, il quinto elemento della spedizione non è persona umana ma un’oca, di nome gheertrud. Noi non la vediamo nell’immagine ma c’è. I vecchi paletnologi vi diranno che una cultura è data anche da quello che manca, che non si trova. Vicino al fuoco del focolare dorme una teiera.
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E’ giorno o notte? I tre orologi naturali sono nascosti, nascoste le costellazioni, nascosta la luna, nascosto il sole, che sia mezzogiorno o mezzanotte è solo un problema di ora locale, dell’ora segnata dal cronometro del professore. E l’orologio del professore segna la mezzanotte, dunque la comitiva dorme. Chi non dorme è il conte Saknussen e la sua pavida guida, in alto sopra le teste addormentate della comitiva il conte Sak, zitto zitto chiotto chiotto, passa e trapassa da un sentiero, come ombra di un ladro dai passi felpati, ma non abbastanza da non destare dal sonno leggero uno dei due membri femminili della spedizione (la donna, non l’oca che russa beata in braccio all’islandese dal dente d'oro), che esclama, c’è qualcuno lassù, ho sentito passi, passi umani, il professor Lindenbrook mugugna, è dall’alba dei tempi che le donne sentono passi. Mia moglie sentiva i topi in soffitta, di solito la notte prima di un’importante conferenza. Mi toccava salire di sopra armato di scopa. Ecco, è sufficiente una frase banale, buttata là quasi per caso, e noi siamo prigionieri per sempre di un’immagine del Tempo.
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Come passa il tempo. Entrando da via de’ Calzaioli la piazza era viva e rumorosa, ciarlatani, cantastorie, saltimbanchi, giocatori di prestigio, casotti di burattini, carri con scimmie e cani ammaestrati, venditori di semi, lupini, sapone per le macchie indelebili dell’anima e lumini da notte e per i trapassati (il conte Saknussen e la sua pavida guida), c’erano venditori di rimedi contro ogni dolore, dal mal di denti alla metastasi ossea, e propinatori di unguenti miracolosi e sciroppi per la tosse e il catarro, guardate in un angolo c'è pure l’inventore della coca-cola, e c’era Trentuno, il cavadenti, che estirpava i denti senza scendere da cavallo, se estirpava un dente sano in un baleno era già lontano. I ciarlatani erano di fama mondiale, stavano seduti come monarchi assiri assisi su carrozzoni alti come i primi piani delle case, e guardavano dall’alto in basso i garzoni affacciati da porte di bottega con il muricciolo rialzato da un lato e gli sportelloni verdi coperti di grossi chiodi, loro ricambiavano lo sguardo dal basso in alto. Seminano, i ciarlatani, i sogni sulle lastre di pietra delle strade. E in piazza della Fonte c’era un vecchio ebreo, sempre lo stesso, friggeva le ciambelle, e le vendeva pure ai cristiani, che tagliavano dal Ghetto per affrettare il ritorno a casa, le compravano per i ragazzi che ne erano ghiotti. Case di sette piani, case di nove piani, case di undici piani, case come torri di babele, il Ghetto era un’astronave che affiorava dal centro di Firenze come una rosa del Sahara. Nel 1439 gli ebrei a Firenze erano già settanta (70), e iniziano i problemi, cominciano a dar nell'occhio. I problemi aumentano, e aumentano con gli anni fino a portare alla decisione, irrevocabile e definitiva, di cacciare a pedate nel culo gli ebrei dalla città nel 1495. Il bando è revocato solo nel 1499, ma con una penale e pedaggio di 200.000 fiorini. Cosimo dei Medici, il Grande, importa e copia il modello Ghetto. Cosimo vuole, Cosimo ordina, Cosimo scrive che tutti gli ebrei devono abitare in un solo luogo chiuso, con qualche ora di libera uscita. Sarà il Buontalenti, di nome e di fatto, a ridurre tutte le case di un isolato situato a ridosso del Mercato Vecchio in un solo enorme stabile, murando tutti i vicoli tranne due, sbarrati però da cancellate. In quest’immenso condominio gli ebrei di Firenze andarono ad abitare il 6 dicembre 1571. Un giro intricatissimo di scale metteva in comunicazione le case da un lato all'altro del Ghetto. Un dedalo di corridoi, pianerottoli e abbaini permetteva di salire sui tetti dai quali poi si ridiscendeva per altre scale in altre case e in altre strade. Giravano, i ciechi, le strade di Firenze suonando, chi la chitarra, chi il violino (quest’ultimi erano forse ciechi importati dall'Ungheria?). E cantavano, i ciechi, la storia della Samaritana, di Sansone, di Marziale che nacque con due denti, della ‘Gnora Luna, di Brandano, e della Strage degli Innocenti, e della fuga in Egitto, e del professore che sognava di tornare dietro i banchi di scuola a imparare cose nuove. Ed era un gridare, un vociare continuo di briachi, ortolani, fruttaroli, friggitori, fagiolai, peracottai, cenciaioli che giravano tutta Firenze al grido, Donne chi ha cenci. E da via de’ Calzaioli passava il Manzoni, testa bassa e mani in tasca, e alé inciampava in un sasso, che era sempre lo stesso, giovinastri bruciati se lo tramandavano di generazione in generazione di scioperati, era il sasso di via de’ Calzaioli, lo gettavano in mezzo alla via, e i passanti distratti lo spingevano su e giù per la via, dal Bigallo fino a San Michele, all’inizio dell’Ottocento era un macigno grosso come quello che rincorre Indiana Jones, pian piano si è consumato, oggi è un sassolino, neppure don Abbondio se tornasse in vita e passasse per via de' Calzaioli lo spingerebbe di lato. Ecco in un angolo della soffitta il progetto dell’architetto Leoni per la costruzione di 53 case per i poveri nei pressi della Fortezza (via di Barbano). E’ il 1838. Il Comune metterà il terreno, s’immagina dopo una gran sudata in consiglio comunale, è tutto grasso che cola, infatti, vi nacque un bel quartiere signorile, per i poveri neppure uno stanzino per le scope, ma lo spazio per una bella piazza fu trovato, un giorno sarà piazza dell’Indipendenza, per ora si chiamerà piazza Maria Antonia, da lì, il 27 aprile 1859, partirà il corteo, al grido di Viva l’Indipendenza Italiana. 1839, il Comune installa le gronde sotto i tetti delle case. 1846, primi lampioni a gas, ma tenuti spenti nelle notti di luna piena. Dickens scrive che a Genova le case e le strade mandavano un odore di cacio riscaldato, e a Firenze? Stendhal disteso in terra attende l'arrivo dei volontari della Misericordia, tesse le lodi, "pavimentata a grandi blocchi di pietra bianca di forma irregolare, Firenze è di una pulizia rara, nelle sue vie si respira non so quale straordinario profumo. Se si fa eccezione di qualche borgo olandese, Firenze è forse la città più pulita dell'universo". Stagna nei vicoli il puzzo dei fritti nel lardo e delle acque marce dove hanno cotto i cavoli, le bietole e gli spinaci. Fetore di fogne e di sudore e di spazzature rovistate da cani e gatti che il più sano c’ha la rogna.
Superfetazioni, solo superfetazioni.
Si definisce superfetazione edilizia quella parte aggiunta a un edificio, dopo la sua ultimazione, il cui carattere anomalo sia tale da compromettere la tipologia o da guastare l'aspetto estetico dell'edificio stesso, o anche dell'ambiente circostante. “Dovunque c’era un angolo, uno spazio fra costruzione e costruzione hanno ficcato una casa, che sembra voler cader giù da un momento all’altro. Se c’è un cantuccio, un angolo rientrante nei muri di una chiesa, siete certi di trovarvi una specie di abitazione”. (Dickens, Impressioni d’Italia). Un esempio? Il ponte vecchio.
Modi di dire che oggi non si usa più. I francesi erano soprannominati nuvoloni dai fiorentini della fine del settecento e dei primi anni dell’ottocento. Nel 1799 i francesi piantano a Firenze l’albero della libertà in piazza Nazionale (oggi piazza Signoria), coprono le mura con i loro proclami che iniziano sempre così, Nous voulons, il 9 aprile 1799 furono celebrati 18 matrimoni sotto l’albero della libertà. Alle pulizie delle strade ci pensavano i forzati, legati in coppia con catene; spazzava, il forzato, le strade e portava con sé un non so che di tristezza e pittoresco, perduto per sempre. I passanti, nel sentire dietro l’angolo il rumore delle catene, cambiavano strada, ma solo per non vedere i colori sgargianti delle casacche dei forzati. Rosso, chi doveva scontare mesi o anni. Giallo, i condannati a vita. Oggi nessuno farebbe più caso ai colori.
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Il mondo senza di noi, di Alan Weisman, numero 1 nelle classifiche di vendita americane per diversi mesi, descrive un mondo senza di noi. L’intento è poetico il risultato è prosaico. L’autore parte dalla premessa che per distruggere un fienile è sufficiente fare un buco di un centinaio di centimetri quadrati nel tetto del fienile, e poi stare a guardare, se a bocca aperta non è scritto. Il giorno dopo la scomparsa dell’uomo la natura già prende il sopravvento, senza incentivi, un esile filo d’erba lasciato a sé stesso si trasforma, piano piano, anno dopo anno, in un possente albero che sbriciola il marciapiede, passano gli anni, l’albero cade sulla strada. Il lettore però non si deve aspettare fantasie da dopobomba o dopovirus o da dopolavoro, quando seduti in tram, con gli occhi che si chiudono, vediamo gli alberelli stenti del giardino che ci passa accanto invadere la strada ingombra di auto rosse di ruggine, perché il Saggio è abitato da scienziati seriosi e preoccupati, ma con la barbetta brizzolata, e snelli e giovanili a più di cinquant’anni, e con occhi che disegnano una mezzaluna quando riflettono, che si stringono nelle spalle, e forse si torcono le mani. Un libro che va avanti e indietro, zooma nel passato e poi nel futuro, e non ti lascia il tempo di fantasticare su occhi bianchi sul pianeta Terra e licantropi, e alla fine la tesi che sostiene è che non resterà niente dell’opera terrena di ogni uomo quando sarà scomparso dalla faccia della terra, grazie già si sa.
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E nel 1982 era uscita la traduzione italiana di After Man, a zoology of the future autore Dougal Dixon. La storia splendidamente illustrata della vita sulla Terra 50 milioni di anni dopo la scomparsa dell’uomo. In questa storia l’uomo è come se non fosse mai esistito, i topi di città si sono differenziati in molteplici specie, anche la Statua della Libertà si è dissolta in polvere, non emerge mica dalla sabbia come nel Pianeta delle Scimmie, e se qualche osso e cranio fossile di Homo sapiens sapiens giace sotto i sedimenti, ebbene è muto e paziente almeno quanto il buffone di corte, Yorick. Ma anche il libro si è estinto, non era il numero 1 nelle classifiche di vendita americane, di conseguenza non è stato più ristampato, forse qualche copia fossile si trova su Maremagnum.com, ma non andate a cercarlo con il filo a piombo o con il cronografo alla mano.
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Esperienza straordinaria è la lettura e la visione del volume Firenze 1892-1895, immagini dell'antico centro scomparso di Maria Sframeli (Editore Pagliai Polistampa, 2007). Trecento e più fotografie, scattate fra l'agosto del 1892 e il dicembre del 1895, documentano i palazzi e le case del centro storico prima e durante le demolizioni. E' il centro medioevale di Firenze che viene giù, l'area che si estendeva da via Porta Rossa a via de' Cerretani, da piazza Strozzi e via dei Pescioni a via Calzaioli. Il risanamento dell'antico centro intorno al Mercato Vecchio, compiuto a fine secolo, è lo specchio della volontà della classe borghese di affermare il proprio prestigio. Il mezzo per tale operazione è anche in questo caso quello della speculazione edilizia. Per tamponare i duri giudizi espressi, soprattutto sulla stampa estera, la giunta comunale nel marzo del 1888 nomina una Commissione Storico Archeologica CSA per rilevare e studiare gli edifici della zona da demolire. Ma i rilievi non dovevano in alcun modo ritardare i lavori, così nell'aprile del 1892 viene nominata una Nuova Commissione NCS, con una sfera di competenza che escludendo l'archeologia si estendeva a tutto il territorio comunale, e per ovviare all'impossibilità di misurare gli edifici che scomparivano dalla mattina alla sera la Nuova Commissione avanzò la richiesta di utilizzare lo strumento fotografico. “Una camera oscura per prove 18x24 con soffietto di pelle a cono girevole, otturatore istantaneo e a pose facoltative, treppiede e sacco” (Firenze 1892-1895). Le immagini non sono belle, sono vere, e ferisce la quasi totale assenza di vita, il silenzio assordante del dopo bomba, i cartelli attaccati ai muri annunciano ai rari passanti che il venditore di pesci d'Arno fritti si trasferirà in faccia alle Logge n. 1, così il trasloco del pizzicagnolo, del salumiere, del rosticciere, del fagiolaio, ecc. Pubblicità di cerotti per calli, letti e mobili in ferro vuoto e sagomato, Synger Cycles, pastina diastasata alla pepsina. Muratori posano in bilico su assi appoggiate su scale sospese sul vuoto. Esperti della Commissione immobili ed impettiti. Ragazzini con il cappello in testa, garzoni di bottega, guardano nell'obiettivo del fotografo con sguardi da gatto, un ragazzino visto di profilo è l'esatto opposto del militare petto in fuori e pancia in dentro, ma dove sono andati a finire 'sti tipi alla Huck Finn? E i nomi delle vie? piazza del Vino, piazza delle Cipolle, via delle Ceste, piazza delle Ricotte... ormai era stata imboccata una strada in discesa, si comincia con piazza vittorio emanuele secondo, il monumento al re a cavallo è già al suo posto. Attorno crescono i palazzoni di facciata colmi di banche, uffici, alberghi, assicurazioni; igienici ma scarsi di vita e di cortili. Nelle strade attorno alla piazza a nuova vita restituita la vecchia Firenze muore, muore come un vecchio in un letto d'ospedale un giorno di inizio primavera.
Alec. Prendi nota che un membro della spedizione ha segnalato topi in soffitta. Lights out.
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(*) L’immagine è l’elaborazione con Autostitch di 14 immagini in formato JPG del film Viaggio al centro della Terra (1959).

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