domenica 28 febbraio 2010

A cavallo di un'anatra spennata (Incontri con l'arte 1)


Pasqua dell’anno 2036. Cenacolo vinciano, davanti al famoso affresco dopo un restyling. Turisti osservano, all’oscuro della presenza di una tv locale che li riprende. I turisti aprono la bocca, è tutto un pianto greco di esclamazioni, Meraviglioso!, Straordinario disegno!, E i colori, i colori!, Che incomparabile visione! Guardate l’espressione di Giuda! Viscido, veramente viscido! Sepolcro imbiancato! Mi verrebbe quasi voglia di sputargli addosso! Non si può! Purtroppo! Purtroppo!...
Due tizi parlano davanti alla telecamera. Quello che tiene il microfono in mano, è sicuramente un vecchio bacucco intervistatore generico, l’altro, capello fluente e bianca coda di cavallo, è un pittore quotato, infatti, i suoi quadri sono come assegni postdatati. Il vecchio generico fa domande qualunque al pittore, mani in tasca e sguardo astioso e sospettoso, che si chiama maestro Mastro F. Maestro. I due sono sicuramente amici, si frequentano da trent’anni, e spingono a turno la carretta piena colma di retorica. Se uno ritarda l’altro aspetta per fare insieme il resto della strada… Ma poi qualcosa si spezza tra i due, improvviso tra le a e le o si crea uno iato esofageo, e l’incanto si infrange, come un bicchiere di vetro cristallo, cadendo in terra al rallentatore, esplode in impalpabili stelle filanti, così noi sentiamo cangiare la voce dell’intervistatore, in un tono che è quasi un soffio asmatico, sta introducendo l’ospite, la spalla, il frequentatore assiduo di musei e cimiteri. Così nomato, così invitato, così chiamato, ma come il vampiro delle fiabe era già lì appostato (ma fuori l’occhio della telecamera), spunta da destra un omettino piccino picciò, arriva a malapena con la testa al cinturone del Maestro, ha una faccia come la prugna secca trovata in bocca a Tutankamon (o era la lingua?), e una giacca smessa che è tutta una grinza, ma gli occhi lucidi provano un lavorio continuo delle cellule grigie, e i peli irti e bianchi sulle guance testimoniano una libera professione, quella del critico d’arte. Il critico ha un nome e pure un cognome, Magico Primario. Magico Primario ha il compito di spiegare l’Ultima Cena, dice, solo l’esigenza di un recupero etico e formale, solo l’impossessamento formale ed etico di una anatra grigia decapitata spennata e appesa a frollare, solo l’osservazione verticale e orizzontale, della sincronia e diacronia delle cose nello spazio, dello spazio nelle cose, potrà dare un senso a questo magico affresco vinciano. Ma vediamo, vediamo uno che tesse le dita delle mani insieme e volge accigliato lo sguardo verso il compagno, uno con le mani aperte mostra le palme, e alza le spalle alle orecchie, e spalanca la bocca di meraviglia, uno parla nell’orecchio di un altro, quello che lo ascolta vorrebbe affettare il pane ma non può perché è educato, ma uno più moderno guardate soffia sul boccone, e Giuda se ne sta col collo rigido, la testa orgogliosa quasi all’indietro, punta la fluente barba nera come una spada sguainata, lo sguardo ardente è corrucciato, guai a voi anime prave…
Magico Primario si volta e ruota la testa sull'esile collo gommoso, Maestro, se tu fossi un’anatra grigia, come opereresti? All right all right, ma adesso cambiamo di posto? Magico Primario è spinto di lato, fuori quadro, sparisce, inghiottito nella visione dell'affresco brooksiano. Dove se ne andrà? Dove è già andato? O piccolo e nero calimero, critico d’arte tascabile di maestro Mastro F. Maestro ingrato. Vieni, vieni sotto l’ombrello che a Milano stanno piovendo frammenti di asteroide. Vieni via, ma mettiti prima il cappottino… vien via, vien via, mettiti il cappottino che si va via, e a Milano fa freddo, tira vento, siamo solo alla metà di aprile. Vien via, piccolo critico d’arte, ma prima mettiti il cappottino… O Magico Primario.
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