Ritorno sui miei passi e tiro il fiato.
"Carneade! chi era costui? (1) – ruminava tra sé don Abbondio seduto sul suo seggiolone, in una stanza del piano superiore, con un libricciolo aperto davanti, quando Perpetua entrò a portargli l’ambasciata. – Carneade! questo nome mi par bene d’averlo letto o sentito; doveva essere un uomo di studio, un letterato del tempo antico: è un nome di quelli; ma chi diavolo era costui? […]”
(1) Carneade! chi era costui? Il povero don Abbondio in questo momento è tranquillo, quasi come quella sera che tornava dalla passeggiata dicendo l’ufizio […] Nello scritto Eco d’una notte mitica, il Pascoli ha paragonato questa notte all’ultima di Troia […]
Eccolo lì il nostro caro don Abbondio, con il libricciolo aperto in mano e lo sguardo perso nel vuoto, catturato nel vano tentativo di cercare nella memoria un riferimento qualsiasi per riempire il vaso di pandora, il mistero di quel nome famoso & sconosciuto, e liberare così la mente gravata dal peso, proseguendo nella lettura del libricciolo aperto davanti, che per di più gli è stato imprestato da un collega curato, dunque più di tanto non può tenerselo a covare in grembo. Il collega curato imprestava libri a don Abbondio con la stessa sensibilità di un giovane cane boxer che, lasciato solo con una libreria a disposizione, sceglie un libro dagli scaffali e se lo mangia crudo. Don Abbondio, seduto nel suo seggiolone in una stanza del piano superiore, una sera di novembre, intanto che sopra la sua povera testa, e sopra il suo tetto, le stelle indifferenti si disponevano nelle usuali costellazioni di quella stagione e di quella latitudine, andava leggendo un certo panegirico in onore di San Carlo, quello delle patatine fritte, ed era arrivato al punto dove il sant’uomo era paragonato ad Archimede, e fin lì don Abbondio andava mentalmente confermando, all right all right, ma poi l’autore del libricciolo chiamava a paragone anche Carneade e lì il lettore era rimasto arenato, a bocca aperta e lo sguardo sperso nel vuoto siderale, svolazzando tra le costellazioni di quella stagione e di quella latitudine. Ma sentiamo un po’ cosa ne deduce il nostro buon figliuolo, ac:
Vedi con quanta finezza il M. ha trovato il nome dove don Abbondio restasse arenato: non è di quelli che tutti conoscono, come Archimede o Aristotele, che sarebbe stato un far torto anche a don Abbondio; e non dei minori, noti soltanto agli eruditi di professione, che sarebbe stato ridicolo pretendere che lo conoscesse don Abbondio […] Per colpa di don Abbondio un nome così illustre è venuto nell’uso a significare uno sconosciuto qualunque.
Per colpa e merito di Manzoni (che non era mica tra i finalisti, l’altra sera alla tv, nella gara a chi è tra gli italiani famosi il Numero Uno), Carneade si è trasformato in uno sconosciuto qualunque. Vedo bene che è impossibile stare dietro alla falcata di Manzoni, testa bassa e mani in tasca, è capace di camminare tutta notte per raggiungere l'alba; chiedo venia, che nel post precedente, vi è un errore capitale (sing): il ridicolo paragone tra Balabù & Berlusconi e Carneade.
Carneade, nativo di Cirene e morto decrepito nel 129 a.C, era un insigne filosofo ed oratore eloquentissimo, infatti, stupì i romani del tempo, ancora boccaloni e sempliciotti, con la sua eloquenza colorita e solenne, poi sul quel nome famoso & riverito ci mise l’occhio quel figlio di un temporale d’estate, quel mago dei tarocchi del Manzoni.
Non avete capito? devo fare un disegnino alla lavagna? O forse è meglio chiudere il post con una parabola, dal Vangelo apocrifo dello scriba Rag. Fantozzi Ugo:
Gesù alla folla curiosa che si era radunata ai piedi della collina chiede, Avete pesci? Nooo!!! Avete pani? Noooo!!! E allora che c[avolo?] vi moltiplico!?
It's midnight in Manhattan, this is no time to get cute
It's a mad dog's promenade
So walk tall or baby don't walk at all
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domenica 14 febbraio 2010
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