martedì 26 gennaio 2010

Bestiario n. 6 (lumache e colombe)

Ok, siete viaggiatori del tempo e camminate sulle strade di una magica città atemporale che non è mai esistita, ma è l’unica città dove avreste voluto nascere e morire. Una città che alterna larghi e infiniti viali a strette viottole contorte, musei e gallerie e botteghe di cianciafruscole sparpagliate sul marciapiede. All’orizzonte le torri di babele si stagliano nel blu del cielo estivo, sulla strada si affacciano banche e sporti d’ortolani, pizzicagnoli e fornai, librerie antiquarie e straccivendoli, enigmatiche insegne, pizzerie da asporto.
Le strade sono fiumi in secca sul fondo di canyon d’ombra di terra di siena bruciata, e le persone che vi si agitano dentro sono simili a quelle figurine dipinte sullo sfondo dei teleri di Vittore Carpaccio, inconsapevoli dell’accadere di un evento miracoloso in primo piano, San Girolamo che conduce nel monastero il leone ammansito, perseguono le loro attività quotidiane, chi passeggia leggendo il giornale, chi porta a spasso il cane, chi in faccende affaccendato blatera barbaricamente nel cellulare e pesta una molle deiezione canina, il cui autore, portato fuori da un padrone dimentico di paletta e sacchetto, sta girando il canto della strada e s’intravede appena, nella limpida brillantezza di un attimo fuggente, l’agitare festoso della coda, uomini calvi e glabri in costume giallo cantano e danzano al ritmo di un tamburello, turisti giapponesi fermi all’incrocio sorridono al semaforo rosso.
Tirate fuori la vostra macchina digitale e cominciate a scattare istantanee, ad una fontanella secca posta sul canto di una stradina che s’affina nell’ombra fresca e umida, ad un monumento equestre pazientemente zebrato da generazioni di colombe selvagge, ad un portico di luci e di ombre, ad un pittoresco muro crostoso e ammuffito che vi nasconde la vista di un silente giardino di periferia, alle nuvole che si dipanano lente nel cielo blu.
È una sera d’estate. Dall’ombra profonda e blu planano sopra le vostre teste misteriose parole quotidiane, suoni di piatti e posate, Chopin duetta con Hendrix, uno speaker ordina indifferente i fatti del giorno quasi andato. E in strada, all’ombra di un albero, sonnecchia indifferente un magro gatto soriano. Filippo ha le placche in gola. Un cane boxer maschio si accuccia per urinare l’orina accumulata in un pomeriggio di tedio e noia aspettando il ritorno a casa del padrone, non ha ancora imparato che deve alzare la zampa e segnare il territorio. Una ragazza vi passa accanto, Tutte le kose k hai detto sn vere sekondo me, ma non lo dice a te. E le ombre della sera si allungano e sembrano ghignanti demoni etruschi, e colorano le strade di un assurdo blu oltremare. Entrate in un ristorante alla francese e vi sedete ad un tavolo coperto da una tovaglia a scacchi bianchi e rossi, due uomini, uno è vecchio, l'altro non più giovane, parlano e ridono, uno dei due ha davanti a sé un breve futuro e un piatto di lumache. Escargot. Lumaaache. Lumache. Rpiene di burro e aglio. Buon vino, pane francese e lumaaache.



Se non capite una parola una della conversazione, be’ potete sempre leggere i sottotitoli, che diamine. Uno dei due è russo, l’altro invece no, uno è pieno di sé, assolutamente vuole vincere una partita a scacchi domani, l’altro ha già vinto e perderà per questo la vita. Gli scacchi sono la prova più ardua a cui è sottoposta la mente umana, no? Lei crede? Ho sempre pensato che fossero le donne. Quasi per caso, quasi per gioco, forse spinto dal suo demone il vecchio sposta il sale e l’altro gli risponde muovendo il pepe, inizia così la finale di partita (a scacchi), le cui mosse sono state decise, per entrambi, da uno stronzo di creativo vissuto circa cinquemila anni fa, già deciso il risultato: per uno toccano le fiamme eterne dell'inferno, ma qualche girone sopra il prete con l'amante e l'assessore ladro, l'altro non volerà però in paradiso, sosterà, solo qualche millennio, in purgatorio, a purgarsi come una lumaca. Loro solo eseguono, come un pianista di piano bar, e non sperate di farli piangere perché piangere non sanno, solo giocare fino all’ultima mossa, fino all'ultima nota. Scacco, ma non è ancora quello decisivo, che dicono sia matto.


E uno è un assassino sordo e l’altro è la sua vittima, ghiotta di lumache.


Se il giorno dopo tornerete sui vostri passi entrate nel ristorante alla francese potrete chiedere l'autografo al mite tenente Colombo e sorridere al suo cane di nome Cane, Colombo non crede né all'inferno né al purgatorio ma ha già scritto nel taccuino il nome dell'assassino.

E' giusto? Non è giusto? Ma così era la vita in una Los Angeles primi anni settanta del secolo scorso, prima del diluvio e ancora bazzicata da Sanford e figlio demente (ocio ciò! che l'ha detto Brunetta), ma per poco ancora prima di lasciare il campo e le strade e le piazze e gli ospedali e le scuole pubbliche, come già le private, a mutanti medievalisti nerovestiti con occhi bianchi e una croce fiammeggiante all'altezza del cuore.

Immagini da The Most Dangerous Match.

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