domenica 17 gennaio 2010

Bestiario n. 2 (Gertrude)

Un sera di settembre dello scorso anno ho definito un particolare tipo di wunderkammer come la camera delle necessità appagate . C’è un tale che entra in una stanza con una necessità in testa, afferra visivamente il contenuto della stanza, e subito esulta in esclamazioni di meraviglia e zompi pindarici, perché lì in quella stanza, in quella piccola porzione dell’ecumene, ovvero là in quella minima porzione della parte non acquorea del globo terrestre il tizio ha trovato la più completa ed esaustiva soddisfazione alla sua necessità, qualunque essa sia, non c’interessa adesso scendere in particolari contingenti.
E una mattina di domenica, sempre del mese di settembre dell'anno 2009, ho dimostrato che all’interno dell’insieme delle camere delle necessità appagate si trova un insieme W'' di elementi w'' che, pur non avendo l’aspetto e la forma canonica di stanze, sono recipienti, contenitori, scatole o piani di appoggio di manufatti strambi e esotici reperti naturali, e, infine, ho dimostrato che all’interno di una scatola o cassetto w'' esiste almeno un insieme W''', universalmente noto come aula della meraviglia dubitativa.
Fermo restando che una qualsiasi wunderkammer non è mai un insieme frattale , e poiché da un elemento w''' qualunque, ce ne possiamo uscire dalla finestra - se l’aula si trova al pianoterra - e andare a spasso per Boboli, ché mica siamo prigionieri di un frattale (come già scritto), ma solo di una routine (volendo si può usare anche il Ctrl-Alt-Del), mi resta solo da dimostrare: 1. che il mondo è sorretto dalla provvidenza divina; 2. che da un elemento w''' qualunque noi possiamo uscire chiamando in nostro soccorso un bestiario, sempre se presente in prossimità di w''', cioè sul confine di W'''. Cosa dimostro? Per ora il n. 2.


Ma prima, tanto per chiarire il senso di ciò che può fare una stanza normale ad una persona relativamente sana di mente, ripresentiamo il professor Oliver Lindenbrook, titolare della cattedra di Geologia applicata alla ricerca di una via per toccare il centro della Terra, dell’università di Edimburgo, intorno l’anno di grazia 1880 (così nel film, nel romanzo di Verne, Viaggio al centro della Terra, il prof si chiama Otto Lidenbrock e vive ad Amburgo, intorno alla metà del secolo Ottocento). Ecco il prof, a destra nell'immagine a sinistra, accanto al suo allievo e assistente Alec McEwen (nel romanzo si chiama Alex Lidenbrock). I due tapini sono stati randellati e scaraventati dentro un magazzino di piume d’oca, forse da un tirapiedi al soldo dell’eminente ladro professor Goetaborg di Stoccolma.
Il deposito di piume d’oca è indubbiamente una wunderkammer, infatti, chi non si meraviglierebbe nel rinvenire, dopo aver preso una randellata in testa, chiuso dentro un deposito di piume d’oca, situato nell’estrema periferia di Reykjavik (è talmente scontata la risposta che non metto neppure il punto interrogativo alla domanda). Dirò di più, chi non desidererebbe trovare subito una via di fuga e liberarsi da quest’angoscia esistenziale di sentirsi come un ghiozzo sotto un sasso, che le piume d’oca forse hanno un senso se raccolte e contenute in materassi e cuscini e non accumulate sul pavimento. Dunque, non solo il deposito è una camera delle meraviglie, ma è un elemento w''' del sottoinsieme W'''. Ok, se dimostro che da una camera delle meraviglie w''' si può uscire con l’aiuto di un bestiario, allora, e se la logica non è una gazzosa, la dimostrazione sarà valida per ogni elemento w.

E’ maschio o femmina?, tipica domanda che il titolare di cane porge ad altro titolare di cane, mai visto prima, intanto che i due si guardano, si annusano alla lontana, e tirano disperati i guinzagli, alla disperata ricerca di un contatto, qualunque esso sia. E nonostante che l’anello di re Salomone non sia mai stato ritrovato, forse finito in bocca a un salmone, c’è chi insiste, duro e capatosta, a scandagliare in lungo e in largo l’intero universo o almeno parte della Via Lattea, alla ricerca di un segnale di vita aliena e intelligente (un tap tap tip tap tap). Anche se nell’improbabile ma non impossibile contatto con qualche specie di alieni, noi esseri umani tutti avremo a che fare con esseri pensanti (e già questo ci dovrebbe far pensare) che hanno meno in comune con noi di quanto noi abbiamo in comune con un moscerino della frutta, perché con i moscerini della frutta abbiamo, almeno, la mela di Eva in comune, oltre ad una parte del DNA. E se non abbiamo niente in comune, se non abbiamo mai mangiato la pappa assieme, manco bevuto un cappuccino al bar, di cosa mai parleremo con gli alieni? Della transubstanziazione del pane e del vino? Meglio, molto meglio, tacere sorridendo come micchi, simulando una parvenza di intelligenza empatica.
Ma un prof è un prof. Non può tacere e sorridere come un pacifico micco, deve fare domande, è scritto a lettere di fuoco nel suo DNA, come nel DNA del moscerino della frutta c’è l’insopprimibile, infinita necessità, di svollazzare gaiamente su una fruttiera colma di frutta matura e quasi andata, E’ alla frutta, come dicono i medici di famiglia pietosi, il moscerino, così un professor bennato e concorsato alla lavagna ESIGE risposte giuste ed articolate, capace, in caso di rifiuto, il professore di togliersi una scarpa e batterla sul tavolo a mo' di martello o di afferrare l’ascia in dotazione alla classe (in caso di emergenza rompere il vetro) e con il legno della cattedra fare un po’ di sano bricolage in stile mastro Geppetto. Dunque, dov’ero rimasto? Ah sì, il professor Oliver Lindenbrook sente una sorta di picchiettare affannato che proviene da dietro un tramezzo di legno, Zitto hai sentito? dei colpi. Colpi ritmici che sembrano causati dal becco di un ornitorinco o forse, chissà, di un'anatra, ma più probabilmente da una penna stilografica. Il professore deduce che dall’altra parte del tramezzo c’è un altro prigioniero in catene, sicuramente un esimio collega e non solo di sventura (vedi la penna stilografica), uno sventurato cui il Nemico nei panni del massimo esperto di sassi l'autoctono di Stoccolma, o nei cenci smessi di un suo accolito locale, ha probabilmente mozzata la lingua, poiché comunica con un codice. Morse? Ma il codice non ha alcun senso, querula l’assistente e allievo, e il professore neppure gli risponde, esplicitiamo per lui che un codice ha senso solo se si scopre la chiave di lettura altrimenti è solo un picchiettare contro un tramezzo di legno (zitto lettore astioso! Sì, potrebbe anche essere una parete portante, orsù non speculiamo sulla pula ma solo sul grano). Forse è un islandese, insiste sul querulo andante il buon vecchio Alex, ma il professore vola alto come un condor, come un'allodola, come un moscon d'oro, e sebbene non conosca una parola una in islandese, giustamente dubita, Non mi pare.
Ecco che finalmente il professore si decide ad imitare il collega e bussa alla parete, toc toc toc. Al che il prigioniero di Zenda interrompe per qualche istante il suo frenetico picchiettare contro il tramezzo, il suo cieco lavoro da alveare, alza la testa e porge orecchio (e anche un occhio)…



…e il professore esulta e zompa in aria, Abbiamo stabilito un contatto! Mio esimio amico, chiunque lei sia, lasci che mi presenti. Sono il professor Oliver Lindenbrook dell’università di Edimburgo – tap tap tip tap tap – Le dispiace smettere di battere per un attimo, e ascoltarmi? - tap tap tip tap tap – In quale lingua preferisce comunicare? Il professore tenta di comunicare con il muto disgraziato, prima prova con la lingua di Robespierre e poi con il russo, quasi sbigottito dell’ignoranza del suo collega - oramai solo in sventura - e forse rimembrando l’infanzia, quel tempo dorato quando allontanava da sé la scodella di porridge della mamma (il porridge è un semplice piatto preparato facendo bollire l'avena in acqua, latte o entrambi), e guardava su Canale 5 Don Camillo, tenta la carta del disperato, parlare in latino, che forse il silente carcerato è un prete, o forse un pastore, o forse un terribile monaco tedesco, o forse Mario Capanna. Ma dall’altra parte della parete sopraggiunge trafelato un giovanotto alto biondo e con un dente d’oro, invocante una certa Ghertrud, e il mistero è presto chiarito e si dissolve come nebbia al sole.


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