venerdì 16 ottobre 2009

Significato simbolico ed emotivo dei colori

La maggior parte dei colori (o almeno quelli con un nome) rivestono per noi un contenuto altamente simbolico ed emotivo. Questo contenuto però non è assoluto e immutabile, ma può cambiare nel tempo ed è sempre relativo alle varie culture umane. Così, per esempio, il nero è associato all’ombra, alle tenebre e alla morte nelle culture occidentali. Tuttavia per Omero l’oceano (fonte di vita) è di colore nero; gli antichi greci sacrificavano tori neri a Nettuno. Il nero perciò è anche simbolo di fertilità e di vita: la terra fertile è nera. Il colore nero in numerose culture è un simbolo del male (la mano nera, la morte nera, la peste nera, Macchia Nera) o di uno stato emotivo malinconico (l’umor nero, e il sole nero degli alchimisti raffigurato anche in alcune pitture di Giorgio De Chirico). Colore bandito dalle tavolozze degli impressionisti era invece molto amato da Vincent Van Gogh. Per Leonardo da Vinci la luce ideale per dipingere un ritratto è la luce sul far della sera o quando di giorno l’aria s’abbuia appena, perché si avvicina un temporale:

Se avrai una corte da poter coprire a tua posta con tenda lina, questo lume sarà buono; ovvero quando vuoi ritrarre uno, ritrailo a cattivo tempo, sul far della sera, facendo stare il ritratto con la schiena accosto a uno de' muri di essa corte. Pon mente per le strade sul fare della sera ai visi di uomini e di donne, quando è cattivo tempo, quanta grazia e dolcezza si vede in essi. Adunque tu, pittore, avrai una corte accomodata co' muri tinti di nero con alquanto sporto di tetto sopra esso muro, e sia larga braccia dieci e lunga venti, ed alta dieci; e quando non la copri con tenda, sia sul far della sera per ritrarre un'opera, e quando è o nuvolo, o nebbia; e questa è perfetta aria (1).

Il giallo è il più caldo ed espansivo dei colori, è il colore del grano maturo e del sole fecondo, ma anche della terra arida, spaccata dalla vampa del sole; è il colore della terra degradata in sabbia. Il giallo come colore minerale (le ocre e le terre) è un colore caldo che sfuma nel rosso, come colore vegetale è il colore del limone e sfuma nel verde. Una altra dicotomia nel significato simbolico del giallo è data nelle due nozioni di brillantezza e opacità. È il caso dell’Islam, dove il giallo brillante significa saggezza, mentre il giallo opaco tradimento e inganno. Nell’araldica viene valorizzato il colore giallo oro rispetto al giallo opaco. Come sempre il simbolo è una moneta a due facce:

se gli antisemiti del Medioevo e del Terzo Reich volevano, con l’abito e la stella gialla, stigmatizzare “l’infamia” del popolo ebraico, quest’ultimo poteva invece a sua volta individuare nell’abito e nella stella la luce di Jahvè (2).

Il bianco è simbolo della purezza, del candore, ma anche del gelo (neve e ghiaccio). Il bianco puro, come il giallo, si distingue in base alle nozioni di brillantezza e opacità. Il termine bianco deriva dalla parola latina candidus, e quindi è il colore del candidato, di colui che inizia (ad essere iniziato). Per molti popoli è il colore dell’Est e dell’Ovest, cioè delle zone della Terra un tempo misteriose, là dove ogni giorno sorge e tramonta il Sole. Il bianco è il colore del sudario dei fantasmi, delle notti bianche (negazione della notte e della luce delle stelle), degli Occhi bianchi sul pianeta Terra, è il colore, per molti popoli, del lutto e della morte. Il bianco prende forza e si esalta se viene accostato al colore nero. Leonardo da Vinci così scrive nel Trattato della Pittura:

Nessun termine di colore uniforme si dimostrerà essere eguale se non termina in campo di colore simile ad esso. Questo si vede manifesto quando il nero termina col bianco e il bianco col nero, che ciascun colore pare piú nobile ne' confini del suo contrario che non parrà nel suo mezzo (3).

Questa osservazione di Leonardo, insieme alla seguente:

La cosa bianca si dimostrerà piú bianca se sarà in campo piú oscuro, e si dimostrerà piú oscura se sarà in campo piú bianco; e questo ci ha insegnato il fioccar della neve, la quale, quando noi la vediamo nel campo dell'aria, ci pare oscura, e quando noi la vediamo in campo d'alcuna finestra aperta, per la quale si veda l'oscurità dell'ombra di essa casa, allora essa neve si mostrerà bianchissima […] (4)

anticipa di qualche secolo la scoperta delle righe di Mach. Le righe di Mach sono formate da due sottili bande, una luminosa e una scura, e si osservano lungo i margini di una zona di penombra e sembrano renderne più definiti i bordi. La simulazione di questo fenomeno è stata notata in opere pittoriche appartenenti a varie epoche.

Il verde è il colore del regno vegetale, della natura; è un colore rassicurante e rinfrescante (il tè verde). È il colore dell’infanzia e della giovinezza (gli anni verdi). Il verde è anche il colore dell’invidia (l’erba del vicino è sempre più verde, verde d’invidia, ecc.). Il verde è il colore della nostalgia: «We'd ride out of that valley down to where the fields were green» (5). Il verde se accostato al rosso genera un forte contrasto. Vincent Van Gogh scriverà, in una lettera al fratello Theo, a proposito del quadro Caffè notturno ad Arles: «Ho cercato di esprimere con il rosso e il verde le terribili passioni umane».

L’azzurro è il colore delle profondità: il mare azzurro, il cielo azzurro. È un colore impalpabile; lo sguardo si perde nel cielo azzurro e desidera ancorarsi ad una nuvola. Talvolta un cielo troppo azzurro suscita pensieri malinconici. Un muro dipinto di azzurro, con qualche nuvoletta sparsa qua e là, può trasformarsi in un orizzonte carico di speranze e promesse (elettorali), ma come scopre il protagonista di The Truman Show l’orizzonte azzurro talvolta è soltanto un fondale di scena.

Il rosso è il colore del fuoco, della violenza e dell’aggressività. Simbolo e segno di passioni umane, e anche segno di pudore e timidezza. È un colore che si tinge di malinconia, colorando di sé i tramonti d’estate e le foglie sui rami in autunno.

Ma tutti i colori del mondo sono solo un aspetto particolare del colore della luce. Alle soglie del Novecento il padre dell’arte moderna Paul Cézanne spiegava con le seguenti parole la sua visione della pittura:

Il mio motivo, vedete, è così (Cézanne apre le mani con le dita divaricate, le riaccosta con tutta lentezza, le unisce, le serra, le intreccia convulsamente). Ecco quel che si deve raggiungere. Se passo troppo in alto o troppo in basso tutto è perduto. Non ci deve essere una sola maglia troppo allentata, un solo foro attraverso il quale la verità possa sfuggire […] Tutto quel che vediamo, non è vero? si disperde, dilegua. La natura è sempre la stessa, ma nulla resta di essa, di ciò che appare. La nostra arte deve dare il brivido della sua durata. Deve farcela gustare eterna. Che cosa c’è dietro il fenomeno naturale? Niente forse; forse tutto. […] La mia tela stringe le mani, non vacilla, è vera, è densa, è piena (6).

In reazione all’impressionismo, considerato troppo effimero e superficiale, Cézanne, e la generazione successiva agli impressionisti, desiderano andare oltre il fenomeno naturale, per sua natura mutevole come le nuvole, e approdare alla verità ultima delle cose.
Paul Gauguin gli risponderà con la famosa frase: «Ho chiuso gli occhi per vedere».
E Vincent Van Gogh scriverà al fratello: «Sai bene che una delle radici o verità fondamentali non solo del Vangelo ma di tutta la Bibbia è: La luce che brilla nelle tenebre. Attraverso le tenebre, verso la luce». (Lettera a Théo, n. 126).
E sarà la luce della lanterna protesa in avanti ad illuminare e proteggere la vita dei minatori nel cuore nero della miniera, e la luce della lampada sulla povera cena dei Mangiatori di patate. Sarà la luce stridente sui disperati del Caffè notturno ad Arles. La vampa del sole sui campi di grano giallo. La luce imprigionata per sempre nei Girasoli e nelle stelle rotanti nei gorghi delle notti blu di Saint-Rémy. (*)

(*) Claudio Piccini, Opus incerta 2007

(1) Leonardo da Vinci, op. cit, I, 2, 135.
(2) Jean Chevalier, Alain Gheerbrant, Dizionario dei simboli, Vol. I (A-K). Rizzoli, 1987, p. 501.
(3) Leonardo da Vinci, op. cit, I, 2, 200.
(4) Leonardo da Vinci, op. cit, I, 2, 227.
(5) Bruce Springsteen, The River.
(6) Leonardo Benevolo, Storia dell’architettura moderna, Laterza, 1973, p. 295.

Nessun commento:

Posta un commento