L’immagine mostra la scatola e il suo contenuto, è insomma una immagine sincronica di una wunderkammer.
Il film è stato tratto da un famoso libro di Harper Lee (Il buio oltre la siepe, editore Feltrinelli).
La scatola è il contenitore di una collezione di oggetti trovati dentro la cavità del tronco di una vecchia quercia nel corso di un intero anno scolastico. Gli oggetti sono il dono di Boo a due bambini che vivono in un piccolo paese nell’Alabama.
Ecco l’elenco ordinato degli oggetti, l’elenco è ovviamente una immagine diacronica di una wunderkammer:
- 2 chewing-gum scartocciati al gusto di menta;
- una scatoletta ricoperta dalla stagnola che avvolge la gomma da masticare con dentro due monetine da un penny, perfettamente lucidate e messe una sopra l’altra (teste di indiani del millenovecentosei);
- un gomitolo di spago grigio;
- 2 figurine scolpite nel sapone, raffiguranti un bambino e una bambina;
- un pacchetto intero di gomme da masticare;
- una medaglia annerita, premio scolastico per l’ortografia;
- un orologio da tasca che non funzionava legato insieme con un temperino di alluminio a una catena.
I due bambini pensano bene di scrivere una lettera di ringraziamento e la infilano nella cavita del tronco della vecchia quercia, ma il giorno dopo, tornando da scuola, i bambini vedono che il buco nell’albero è stato riempito con del cemento. Chi è Boo, forse un folletto del folklore americano - straniero misterioso del villaggio; o forse Joseph Beuys in gita turistica in Alabama (con lo zaino pieno di feltro e grasso e legno e cera e acciaio e piombo e rame e juta, un ferro da stiro e una piastra per capelli); o forse una persona che avrebbe avuto bisogno, da bambino, di tre o quattro insegnanti di sostegno per crescere diritto, integrato e fuori casa, al sole dell'Alabama; o chissà…
“…da qualche parte, nei boschi, esiste un particolare animale, un particolare cervo, o una certa locusta, una certa donnola, una qualche creatura selvatica, insomma, che ha il vantaggio di possedere una dose particolarmente forte di potenza vitale, ed è questo l’individuo con cui dovete far conoscenza e di cui dovete ottenere, coltivare e conservare l’amicizia. Andate nei boschi e trovatelo. Cercatelo nei luoghi solitari, vicino alle sorgenti. Chiamatelo. Tornateci. Affamatevi fin quasi a morire e tornate. Chiamatelo. Cantate la sua canzone. Provate prima una canzone, poi un’altra. Forse una volta era il protettore di qualcuno, di qualcuno che è morto, e ora lui ode quella canzone e dice: Questa è la mia canzone, questa è la canzone di mio fratello, è un pochino differente ma è quasi uguale, deve essere qualcuno che assomiglia proprio a mio fratello, credo che sia meglio andare a vedere. Allora verrà e ti darà un’occhiata. Non verrà molto vicino, perché è un po’ selvatico. Deve abituarsi a te. Ma un giorno, magari dopo che tu lo hai chiamato per un pezzo e ti senti solo e piangi e sei stanco morto e cadi addormentato – è perché lo senti arrivare che perdi i sensi, sei proprio come un morto – allora lui viene e ti sveglia. Col piede ti darà un colpetto sulla testa e dirà: He! Svegliati! Hai dormito abbastanza, tu, adesso vattene a casa. Questo è tutto quel che dirà, ma tu sai che lui è il tuo dinihowi, che lui è la tua potenza, che lui è la tua medicina.” (*)
(*) Jaime de Angulo, Racconti indiani (Oscar Mondadori, 1981)
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