giovedì 17 settembre 2009

Wunderkammer (3)

La wunderkammer o “camera delle meraviglie” era una stanza dove si conservavano, in passato, manufatti, oggetti strani e curiosi e reperti provenienti dai tre regni della natura. Manufatti, oggetti e reperti provenivano da ogni angolo del mondo. Questa è la definizione classica di wunderkammer.
Ma una particolare wunderkammer può essere definita, ora e adesso (o adesso e ora?) come la camera delle necessità appagate. In che senso? Vedi un tale che entra in una stanza qualunque con una necessità qualsiasi in testa, vede il contenuto o l'arredamento della stanza, ed esulta in esclamazioni di meraviglia e zompi pindarici, lì in quella stanza, in quella piccola porzione dell’ecumene, o, in altre parole, là in quella piccola zona della parte non acquorea del globo terrestre il tale ha trovato la più completa ed esaustiva soddisfazione alla sua necessità, qualunque essa sia. Non ci interessa adesso scendere in particolari. E ora l’esempio.



Ma prima, solo per capire il senso di ciò che può fare una stanza normale ad una persona relativamente normale ed equilibrata presentiamo il professor Oliver Lindenbrook dell’università di Edimburgo, ricoprente la cattedra di Geologia intorno all’anno di grazia 1880 (così nel film, nel romanzo omonimo di Verne si chiama invece Otto Lidenbrock e vive ad Amburgo, nella metà dell’Ottocento). Eccolo nell'immagine con nipote, stressato dall’attesa di una risposta che non arriverà mai da parte della massima autorità in fatto di sassi, il professor Goetaborg di Stoccolma, cui ha scritto una dettagliata relazione sull’incredibile scoperta. Il professor Lindenbrook ha scoperto casualmente un manufatto, un peso, inglobato in una pietra lavica (donatagli dal suo allievo preferito Alec McEwen) con una esile scritta, tracciata forse col sangue:

Sto morendo, ma il mio lavoro non deve andare perduto.

Chiunque scenda nel cratere dello Sneffels Yocul può raggiungere il centro della Terra.

Io l’ho fatto.

Arne Saknussem.

P.S.
All’alba dell’ultimo
giorno
di maggio,



il Monte



Scartaris



indicherà




la



via



.

Strano ma vero, uno parte per il centro della Terra senza lasciare dietro di sé minima traccia delle sue intenzioni, e poi si dissangua nel tentativo disperato di non sparire nel nulla, di lasciare una traccia, un labile segno, l’indicazione effimera di una via. Be’, non poteva scrivere prima di partire un promemoria? Magari poteva lasciarlo depositato da un notaio o spedirlo a se stesso. Potrebbe essere uno scherzo goliardico? Come le bottiglie di vino con l’effige di Hitler e Mussolini vendute in Alta Italia. No. Il professor L. non lo crede. E neppure l’eminente collega svedese, l’esperto in sassi. Infatti, nel frattempo non ha posto tempo in mezzo e sta correndo a tutta randa alla volta dell’Islanda, lasciando in Svezia moglie, etica e correttezza (poi la moglie lo raggiungerà).


La camera delle meraviglie e il professore L. e il suo allievo e assistente Alec McEwen (nel romanzo si chiama Alex Lidenbrock, ed è nipote del professor Otto, qui invece è fidanzato con la nipote del professor Oliver). Mostra le spalle il “giovanotto dal dente d’oro” Hans Belker di Reykjavik, di professione allevatore di oche (nel romanzo invece è un cacciatore, sempre di nome Hans).
I tre sono penetrati furtivamente nella camera n. 29 di un albergo di Reykjavik, già ospitante l’eminente ladro professor Goetaborg di Stoccolma. La camera è una wunderkammer perché appaga totalmente il desiderio del professor Lindenbrook di rifornire la spedizione Lindenbrook, di tutto il necessario, e senza spendere un penny (va be’ sarà un luogo comune, ma il professore è scozzese, come un certo Uncle Scrooge).
L’equipaggiamento più moderno e alla moda che si trova in commercio per giungere al centro della Terra è squadernato sotto gli occhi famelici e le mani rapaci del professore. Tra le altre cose non possono mancare certo le lampade Ruhmkoff. Autogeneranti e dalla durata pressoché illimitata. E’ sufficiente caricare la bobina d’induzione per generare corrente e luce bianca. E attrezzature per la respirazione, del tipo usato nelle miniere del Galles. E ancora scarponi da montagna e alpenstock. E poi coperte e bende e pannolani. E viveri per mesi.
Ma dov’è il legittimo proprietario di tutto questo bendidio? Dov’è il professor Goetaborg?
Lo svedese giace morto nella camera accanto, morto avvelenato da cianuro, somministratogli in una tazza di tè dall’ultimo discendente di Arne Saknussem, il conte Saknussem, vera gloria cittadina. La salma deposta su una panca e coperta pietosamente con una ruvida coperta attende l’arrivo della vedova. La bella vedova (Carla Goetaborg) prima negherà il permesso al professor L. di mettere le mani su tutto il bendidio, poi legge il diario del marito e cambia idea.


L’immagine mostra l’effetto del dono sull'animo del professore.



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