lunedì 14 settembre 2009

Il razzismo è cosa vostra

Nella raccolta di scritti e racconti della scrittrice cattolica e americana Flannery O’Connor, edita da Rizzoli con il titolo (preso da un racconto) La schiena di Parker, c’è un racconto su due campagnoli razzisti del Sud.
Due campagnoli naturalmente razzisti, e scrivo naturalmente per distinguerlo da quel razzismo articolato e giustificativo fatto di ego e frasi intelligentemente becere che ammorbano la bocca e la testa di un certo numero non precisato di italiani (prima avevo scritto troppi, ma chi sono io? uno statistico?), e che genera comunque il male per conto del bene. Avete presente la frase: questo non si può dire sennò si passa da razzisti? E allora giù a dire il peggio e il peggio del peggio del peggio ecc. Almeno prima c'era un pudore condizionato dalla presenza di un vicinato qualsiasi. Zitto. Ci sono i bambini. Almeno. Ora, urlare caz*** nel telefonino è prassi, e chi non urla caz*** in tram per strada nel giardino di cosa sua è un razzista.
I personaggi del racconto Un negro artificiale sono un vecchio e un bambino (il nipote del vecchio). Ora, voi che razzisti non siete, non state a pensare alla canzone Il Vecchio e il Bambino di Francesco Guccini. Ché questo bambino non starebbe mai ad ascoltare il nonno (neppure sulla soglia della morte), ammesso che quel vecchio avesse qualcosa da raccontare al bambino, anche fosse in punto di morte. Insomma due bei personaggi americani, a tutto tondo, come il Tondo Doni.
Il bambino, soprattutto, è un gran saccente, probabilmente ha un futuro da predicatore. Si picca di conoscere la Città, una piccola cittadina di provincia, solo perché c'è nato, e poi portato via, morti i genitori. In realtà non sa nulla, non ha visto nulla. Poco più su, ma proprio di poco, nella scala evolutiva c’è il vecchio, che stanco della saccenza del nipote decide di portarlo a visitare la Metropoli.
In treno il vecchio attacca bottone un po' con tutti, cioè rompe il c**** un po’ a tutti, e intanto guarda di sbieco il nero in divisa da ferroviere, bofonchiando frasi razziste, mentre il bambino ripete come un mantra: "Sono nato in città. Ci sono nato. Questo è il mio secondo viaggio".
Nello scendere dal treno, in fretta e furia per paura di restarci sopra, nonno e nipote dimenticano il sacchetto della colazione. In giro per le strade il vecchio, gran viaggiatore a riposo, è solo preoccupato di non perdere di vista, con la coda dell’occhio, l'edificio della stazione. Girano e girano, guardano le vetrine dei negozi, e infine, fatalmente, si perdono. Allora il bambino (spinto dal nonno) chiede la strada a una donna di colore (e in questo passo straordinario, c’è la scoperta non espressa in parole della sensualità). E poi via, di corsa verso il bus che porta alla stazione dei treni. Ma, esausti, si siedono sul marciapiede. E il bambino, stanco e affamato, si addormenta. E il nonno (visto il personaggio, che altro può fare a questo punto?) è spinto dal suo sé profondo, a fare uno scherzo al bambino addormentato sul marciapiede, per punirlo della sua saccenza. Il vecchio insomma si ammanta della veste del predicatore. Il vecchio si nasconde dietro l’angolo di una casa e poi dà un gran calcio a un bidone della spazzatura:

Nelson scattò in piedi, con un grido. Guardò il posto in cui avrebbe dovuto trovarsi il nonno e sbarrò gli occhi. Parve girare su se stesso, parecchie volte, vertiginosamente, poi buttò indietro la testa e sfrecciò lungo la via come un puledro imbizzarrito. Il signor Head saltò giù dal bidone e gli galoppò dietro, ma il bambino era quasi fuori vista. Il vecchio colse una pennellata grigia che spariva, diagonalmente, un isolato più avanti…

Il bambino nella sua fuga cieca e disperata alla ricerca del nonno creduto perduto sbatte contro una vecchia. Urli e imprecazioni. Si radunano altre persone, soprattutto donne. La vecchia invoca la presenza di un angelo della strada (un poliziotto). Infortunio e danni. Il vecchio annusa l’aria e rallenta il passo. Adesso avanza "a passo di lumaca". Ma il bambino vede il nonno e con la spontaneità dei bambini gli si aggrappa ai fianchi. E' suo il bambino? Mai visto prima! Dietro le spalle forse sta avvicinandosi un poliziotto. Le donne fissano il vecchio con orrore, lo lasciano andare con una sorta di liberazione, come un tempo i marinai lasciarono afferrare Giona dalla balena. Il poliziotto non c'è. Tutto si è concluso. Il sipario è calato sul dramma.
Restano sulla scena solo un vecchio. E un bambino. Camminano così, verso la stazione dei treni, il vecchio macerato dal dolore, e il bambino che segue da lontano il vecchio dannato:

Alla fine, lanciò un'occhiata breve e speranzosa alle sue spalle. A dieci passi, vide due minuscoli occhi neri che gli affondavano nella schiena come i rebbi di un forcone.

Il vecchio vede una fontanella, ha sete, ma sa di non meritarsi l'acqua, tuttavia spera che la sete comune possa ravvicinarli. Ma il bambino non beve. Il vecchio sente l'odio del bambino, sa "che, se per un miracolo fossero scampati agli assassini in città, le cose sarebbero andate avanti così per il resto della sua vita." Alla fine il vecchio incontra un uomo grasso con due bulldog:

Agitò le braccia, come un naufrago su un'isola deserta. "Mi sono perso!" gridò. "Mi sono perso e non riesco a trovare la strada, e io e questo ragazzo dobbiamo prendere il treno e non riesco a trovare la stazione! Oh, Dio, mi sono perso! Oh, Dio, aiutami, mi sono perso!"

Adesso la via è nota, ma il vecchio sa che tutto è perduto. "Casa sua non significava nulla, per lui". Poi, accade il miracolo. Il vecchio e il bambino si imbattono in una statua in gesso di un negro. Tale è la meraviglia comune che spinge il vecchio a una battuta di spirito:

“Non ne hanno abbastanza di negri qui. Ne vogliono anche uno artificiale."
E il bambino annuì e disse: "Andiamo a casa, prima di perderci ancora."

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