domenica 6 settembre 2009

Prolegomeni ad un impossibile decorso della spontaneità

Come ho scritto in precedenza (vedi post dell'agosto 2009) il software Autostitch, anche se è un programma finalizzato alla creazione di immagini panoramiche, se usato in modo atipico può mettere in luce sia la retorica della macchina da presa nel cinema sia il suo esatto opposto, la spontaneità, cioè la leggerezza (forse esiste anche un inesatto opposto, ma in questo momento mi sfugge il termine).



L’immagine d’esempio è il risultato della somma di un certo numero di fotogrammi presi dal film comico francese “Tre uomini in fuga” (1966). L’immagine può essere vista come una metafora visiva del concetto di leggerezza insita nell’artista, sotto ogni latitudine e tempo.
In alto, vediamo il pittore Augustin Bouvet (Bourvil) all’opera. Con il pennello tenuto saldo e leggero il pittore tocca e ritocca la superficie da verniciare senza uno sbaffo di colore (in questo caso una griglia, ma è fatto puramente contingente, potrebbe essere la Cappella Brancacci). Il pittore sta in equilibrio, sospeso ad un paranco, tra precisione e determinazione. Il lavoro non impedisce ad Augustin di guardarsi ogni tanto attorno e anche in basso, dove la Storia, tra stracci penduli e divise ariane, sta come un sasso nero sul fondo di un torrente montano, in petrosa attesa non di un salmone né di un baccalà, ma nientepopodimeno di Obergruben Fűhrer.

Italo Calvino nelle “Lezioni americane” dà la seguente definizione di leggerezza: “la leggerezza per me si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso. Paul Valéry ha detto: ‘Il faut être léger comme l’oiseau, et non comme la plume.’1
Una definizione così precisa e sicura non può non essere scritta sotto forma di equazione matematica:

L = precisione + determinazione – [vaghezza e abbandono al caso] (A)

Lo scrittore (non a caso fiorentino) Emilio Cecchi la leggerezza la chiamava fiorentinità (se era di Treviso probabilmente la chiamava trevigianità). Il Cecchi era convinto che “nell’operaio, nel piccolo artigiano, nell’artistuccio, che ancora patisce il rovello e come la fatalità ereditaria di voler ‘fare le cose perbene’, sopravviva, più che nell’intelletto, nella matrice dei sensi, un barlume dell’antica, aurea geometria. Grave responsabilità in che maniera quello spigolo, quella sagoma dovranno aggettare sul mondo, entrare a farne parte, conquistare e reggere il loro spazio. E se non stanno così preciso, a capello, cascherà poi il mondo? Voi sapete che la mia risposta può essere soltanto questa: che se non stanno così preciso, il mondo finirà col cascare davvero.”2 Il discorso sembra tornare. La formula (A) può essere scritta, in modo sintetico, così:

f = p + d – [v & c] (B)

Una leggerezza carica di responsabilità è la stessa cosa di una precisione e determinazione priva di vaghezza e casualità. Tuttavia se L = f allora la formula calviniana di leggerezza decade da universale a locale, deve traslocare dalla villa della matematica al terratetto della geografia. Inoltre (operativamente parlando) se L = f chi non è residente a Firenze come fa ad usare la formula? A questo punto è necessario un puntello, un artifizio retorico, magari un giro di parole bislacco, un discorso su per i peri, insomma qualcosa per tenere la formula in piedi, ovverossia una costante fantasma. Costante fantasma che chiameremo m (m sta per “mura di Firenze”). Siamo arrivati, finalmente, alla famosa formula di Cecchi-Calvino sulla leggerezza:

L(f) = m*(p + d – [v & c]) (C)

Tutto è a posto? Si può chiudere il post e andare a riposare? Ebbene no! Chi ha visto “Tre uomini in fuga” sa che l’immagine statica messa in cima a questo post (in alto l’artista leggero come un colibrì, in basso l’inerte e opaca pesantezza della Storia) si trasformerà in azione drammatica, causa la caduta casuale di un secchio di vernice verde nel bel mezzo della Storia, proprio in faccia a Obergruben Fűhrer.


Contemporaneamente, o quasi, alla caduta del secchio di vernice verde il direttore dell’orchestra dell'Opéra National de Paris (Louis de Funès) sta bacchettando due orchestrali, colpevoli di ciarlare allegramente durante la prova d’orchestra.


I due negano spudoratamente l’evidenza.



La prova d’orchestra riprende e i due riattaccano a ciarlare allegramente.
Tale leggerezza, sia dell’imbianchino malaccorto sia dei due orchestrali queruli, ormai è chiaro, non rientra per nulla nella formula, in qualunque modo si scriva o si riscriva. Vediamo bene che siamo di fronte ad artisti. Eppure non c’è disciplina, né serietà. Siamo in un abisso della Logica? Mah. In fondo basterebbe cambiare un segno nella formula (A) per eliminare equilibrismi, costanti fantasma, spiritose categorie dello spirito e simili:

Spontaneità = precisione + determinazione + casualità



(1) Italo Calvino, Lezioni americane (1985)
(2) Emilio Cecchi, Firenze (1969)

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