domenica 20 settembre 2009

Paese d'Ottobre n.2

Tutti sanno che sono esistite quattro macchine del Tempo. La prima è quella del Viaggiatore nel Tempo di H. G. Weels (*), la seconda è quella di George (la più bella), la terza è l’automobile di Doc e la quarta è la macchina di Hartdegen.

I viaggiatori nel Tempo visitano di solito il futuro ma anche il passato, solitamente si innamorano (Doc di una maestra dell'Ottocento, George di una futura analfabeta), e poi tornando nel passato, cioè nel loro presente, trovano gli amici e le cose come le avevano lasciate. Il tempo per loro è come un libro da sfogliare, si può fare un’orecchia ad una pagina o metterci un segnalibro, rileggere una pagina, ecc. Tuttavia anche per il Viaggiatore non è possibile leggere contemporanemente due pagine del libro del Tempo.


George visita il futuro. Settembre 1917 (per noi - per fortuna - è già passato). La sua casa è ridotta ad una soffitta. E quando George è con Weena, nell’ottobre dell'anno 802701, il suo amico e la sua casa sono polvere nel vento. Ma quando l’amico di George riflette con la domestica di George sulle tracce lasciate sul pavimento dalla macchina del Tempo (vedi post settembre 2008), George e Weena ancora non sono in nessun luogo, perché come dirà giustamente Weena non esiste il futuro, non esiste il passato.


Ma qui vediamo l’amico di Hartdegen e la domestica di Hartdegen contemporaneamente accanto a Hartdegen e la sua famiglia; sono nello stesso spazio della casa e del bosco ma in tempi ovviamente diversi; ma come è possibile? Lo spettatore vive forse in un tempo fuori dal tempo? Questa domanda mi provoca un malessere strano, come se da qualche parte in soffitta ci fosse una scatola contenente il passato e una scatola contenente il futuro.

Sfogliando libri illustrati con fotografie dell'Ottocento, per esempio di strade e persone, si nota che alcune figure umane o animali sono sfocate e mosse, altre figure sono addirittura trasparenti, evanescenti come fantasmi. Questo effetto è causato dal tempo di posa. Nella copertina del mio libro Opus incerta il cane boxer è a fuoco perché chi ha scattato la foto era vincolato al cane dal guinzaglio, e si muoveva alla stessa velocità, il muro sullo sfondo è sfocato. Un po’ come quando sul treno fermo alla stazione, guardando fuori dal finestrino, vediamo il treno accanto mettersi in movimento e invece siamo noi che ci muoviamo. Se il narratore è vincolato da motivi sentimentali alla vita dei personaggi ci gira attorno come se fossero statue, e l’ambiente è confuso, mosso, sfumato. Se invece il narratore è fermo (o si muove con una velocità mentale diversa da quella dei personaggi) allora l’ambiente è fermo e sono i personaggi ad essere fuori fuoco. La visione di quelle vecchie foto ingiallite mi fa pensare all’esistenza di infiniti viaggiatori nel Tempo. Essi sono spiriti, spiriti fraterni, ombre colorate e sfuggenti nell'ombra della sera.


(*) H. G. Weels, La macchina del Tempo (Editore Mursia)

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