“What is it? A toyshop?”
“No, it’s a nursery.”
“Ain’t you ever seen a nursery?”
“No. And neither have you.” (*)
“No, it’s a nursery.”
“Ain’t you ever seen a nursery?”
“No. And neither have you.” (*)
In questa serie di post dedicati alle wunderkammern (con esempi presi dal cinema) non poteva mancare una camera delle meraviglie che sicuramente pochi lettori nel mondo hanno visto dal vero. E cioè una nursery. Che non sia (era) una stanza per tutti gli infanti di questo mondo lo prova anche il toccante dialogo tra i bambini (preso da un magico, autunnale film di Walt Disney).
A questa camera delle meraviglie si appiccica un sentimento strano, un certo non so che di alieno, di oscuro, un malessere fisico, quasi un’emicrania, l’impressione di qualcosa di fermo, di immoto, di mai cresciuto. Insomma è la terribile stanza di Peter Pan. Il regno della finzione.
Certo, viene spontaneo associare questa camera ad un luogo sicuro, dove i bernoccoli e le sbucciature e i lividi sono banditi, fuorilegge (ma solo nel fisico). Ecco la connessione: non è questa l’immagine dell’arte? Un palcoscenico dove un occulto regista controlla tutto e tutti. Dove anche la leggerezza, non è spontaneità, perché priva di casualità. E se esiste casualità, questa è programmata dall'autore, come un software che genera falsi numeri casuali.
Le installazioni di oggi o i plurimi di Emilio Vedova di ieri, cosa cambia? Lo spettatore è comunque esecutore di una partitura. Da Henry James a James Joyce, lo stesso tormento ossessivo: è veramente possibile controllare tutto e tutti, fino a farsi scoppiare la testa per una virgola? Un’opera dove anche l’errore casuale non è mai casuale (magari è un refuso), e la sgocciolatura sulla tela è sempre “fatta ad arte”. Si dice che quando Enrico Fermi si accorgeva di aver fatto un errore alla lavagna, durante una lezione, per la vergogna correggesse con il gomito. E se gli artisti sopravvissuti al diluvio sono come Fermi allora siamo davvero in fondo ad un abisso. Prigionieri e per sempre dentro una nursery.
Bel finale retorico…
Urge una citazione antidoto, che fa da prologo ad un futuro post su una bella burattinaia e un austero direttore d’orchestra…
"Anche stamani è venuto allo studio e à cercato di me col suo solito modo di chi à da comunicare, in segreto e d'urgenza, chi sa quale notizia.
Ogni volta che viene, s'accosta pian piano al tavolino ingombro di fascicoli, di fogli sparpagliati; s'accosta col solito passo in cui senti l'anima spenta e le piante dei piedi che dolgono - un cattivo odore lo avvolge: la custodia della miseria, come la nuvola per gli Dei. E quando m'è accosto, a voce bassa, come se fosse la prima volta, mi confida la grande notizia, la solita: non può più andare avanti con le ciabatte che à in piedi e non à un becco d'un quattrino.
Io ormai so a memoria e passo e voce e parole; eppure poso la penna e mi volto, aspettando. E lui riprincipia: biascica le parole e sbava e ogni volta che tira in su il fiato, risucchia. "Guardi un po' come sto", e mi fa vedere i piedi mollicci che sbuzzano dalle ciabattaccie sfatte.
E alla fine mi guarda con un sorriso scemo che mi fa tanto male. M'à conosciuto bambino, quando si stava in Piazza delle Cure, nel villino che era di suo padre, in cantonata a Via Lungo il San Gervasio.
Abitavano un quartiere all'ultimo piano di un'altra casa di proprietà loro sulla cantonata opposta. E suo padre, le sere d'estate, dopo mangiato, alla finestra di faccia alla nostra terrazza, stando a fumare in maniche di camicia - era un omaccione con una faccia gioviale e la testa rossiccia e liscia come una zucca - si divertiva a guardare me che sulla terrazza facevo il diavolo a quattro.
E m'eccitava, m'aizzava, gridando "Bravo! daccapo! bravo!; e quando finivo - perché ogni sera la fine era quella - col battere un picchio solenne da rimanere lì basito, si spenzolava dalla finestra e si sbracciava a applaudire con un entusiasmo che mi ripagava a usura delle ammaccature e dei corni." (**)
Urge una citazione antidoto, che fa da prologo ad un futuro post su una bella burattinaia e un austero direttore d’orchestra…
"Anche stamani è venuto allo studio e à cercato di me col suo solito modo di chi à da comunicare, in segreto e d'urgenza, chi sa quale notizia.
Ogni volta che viene, s'accosta pian piano al tavolino ingombro di fascicoli, di fogli sparpagliati; s'accosta col solito passo in cui senti l'anima spenta e le piante dei piedi che dolgono - un cattivo odore lo avvolge: la custodia della miseria, come la nuvola per gli Dei. E quando m'è accosto, a voce bassa, come se fosse la prima volta, mi confida la grande notizia, la solita: non può più andare avanti con le ciabatte che à in piedi e non à un becco d'un quattrino.
Io ormai so a memoria e passo e voce e parole; eppure poso la penna e mi volto, aspettando. E lui riprincipia: biascica le parole e sbava e ogni volta che tira in su il fiato, risucchia. "Guardi un po' come sto", e mi fa vedere i piedi mollicci che sbuzzano dalle ciabattaccie sfatte.
E alla fine mi guarda con un sorriso scemo che mi fa tanto male. M'à conosciuto bambino, quando si stava in Piazza delle Cure, nel villino che era di suo padre, in cantonata a Via Lungo il San Gervasio.
Abitavano un quartiere all'ultimo piano di un'altra casa di proprietà loro sulla cantonata opposta. E suo padre, le sere d'estate, dopo mangiato, alla finestra di faccia alla nostra terrazza, stando a fumare in maniche di camicia - era un omaccione con una faccia gioviale e la testa rossiccia e liscia come una zucca - si divertiva a guardare me che sulla terrazza facevo il diavolo a quattro.
E m'eccitava, m'aizzava, gridando "Bravo! daccapo! bravo!; e quando finivo - perché ogni sera la fine era quella - col battere un picchio solenne da rimanere lì basito, si spenzolava dalla finestra e si sbracciava a applaudire con un entusiasmo che mi ripagava a usura delle ammaccature e dei corni." (**)
(*) “Cos’è un negozio di giocattoli?”
“No, è una camera per bambini.”
“Non ne hai mai vista una?”
“No. E nemmeno tu.”
Da Pomi d’ottone e manici di scopa © Walt Disney
(**)La Velia di Cicognani (autore introvabile, libro pescato su Maremagnum.com. Romanzo del 1923 edizione Vallecchi, 1966)
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